Pègaso - anno IV - n. 11 - novembre 1932
526 F. Moroncini ammissione non tragga recisamente la conseguenza che, per tale ri– guardo, essi debbano lasciarsi crescere rigogliosi, e quantunque dia un'assoluta prevalenza all'utile sul bello; tuttavia anche al bello dà pure il suo grande valore nella vita; e in ogni modo si ha qui un primo passo per una netta distinzione tra l'etica e l'estetica; al quale passo succederanno ulteriori sviluppi e corollarii nello svolgimento del pen– siero leopardiano. Nel secondo paragrafo del capitolo primo rifatto, il Leopardi s'in– dugia su una cosa che doveva aver costatata più e più volte nella pra– tica della vita (breve allora per lui, ma precocissima), e nella conver– sazione e nel commercio con gli uomini. Dovevagli infatti essere occorso spesso di raccogliere, oltre che dall'umile gente del popolo recanatese alla quale non disdegnava avvicinarsi con umanità e affabilità, anche dalla bocca di nobili suoi pari, ma incolti e ignoranti, una quantità di favole superstiziose, o ripetute in buona fede, o senza punto credere ad esse. E sebbene ammetta che tali persone nobili, ligie agli errori del volgo, appartengano specialmente a una generazione passata, non esclude che ne siano infetti anche nobili giovani della presente; il che trova assai sconvenevole alla loro classe e dignità di nobili. Da questo passo si ricava quanto il Leopardi si sentisse, appunto per i suoi studi e la sua cultura, superiore a tutti gli altri nobili suoi coetanei, ch'egli do– veva avere a vile, e dai quali era ripagato con un superbo quanto stolto disprezzo e talvolta anche con onte indegne. Si ha così una prova del– l'alto concetto ch'egli aveva della nobiltà della sua nascita, e dei doveri che all'uomo nobile s'imponevano; doveri ai quali egli non venne mai meno in tutta la sua vita, anche in mezzo ai dolori, alle angustie e alle umiliazioni in cui ebbe, senza sua colpa, a trovarsi. Benché il Leopardi si proponesse e dichiarasse che nel rifacimento del Saggio avrebbe ristretta la materia del vecchio trattato, scegliendo tra i materiali in quello accumulati, nondimeno, se dovesse giudicarsi da queste pagine nuove, e se la continuazione del rifac imento fo sse stata condotta con quell'ampiezza di ragionamento e dì perioda.re ond'era stata incominciata, non siwremmo vedere quale s tringatezza di ma– teria e di forma il rifacimento avrebbe assunto. Tanto più che, in pro– cesso di tempo, il Leopardi continuò ad elencare nuova materia di nuovi errori, derivata da varie fonti e letture, con lo scopo evidente di utilizzare queste altre « cose omesse» nella primitiva redazione 1 ). Comunque sia, 1 ) Queste Cose omesse, di cui fa cenno G. al De Sinner nella sua dei 24 mag– gio '32 dicendosi pronto a inviarle al signor Henschel se mai si decidesse a far qualche uso del Saggio, furon da G. via via trascritte nel verso della minuta d'una dedicatoria del Saggio stesso; e si riferiscono ccad altri errori più curiosi e meno , conosciuti·», che avrebbero potuto servire a compiere e a render più piacevole la trattazione dell'argomento, e che non son privi d'un qualche interesse; come ad esempio questo: « Invidia degli Dei verso gli uomini. Indice de' miei pensieri ecc.»; che potrebbe ricollegarsi all'ultima concezione arimanica della Divinità. La dedi– catoria, che ha la data dei 28 decembre '15, è di mano e redazione di Monaldo, ela– borata con quel suo stile delle grandi occasioni, anche troppo ossequiosa, e indi– rizzata a un cardinale (quasi certamente Alessandro Mattei), nella speranza di ottenere a Giacomo per mezzo di lui stretto parente di Carlo Antici, un impiego che mai non venne. BibliotecaGino Bianco
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