Pègaso - anno IV - n. 11 - novembre 1932
514 F. Moroncini luna fino a quel Tramonto della luna che doveva segnare anche il tra: monto della sua vita mortale questo astro, benefico al cuore e alla fan– tasia del poeta, riappare, c~lminando· nel Canto notturno, anche in altri canti intermedi moltissime volte, sotto forme e atteggiamenti e ispirazioni diverse. E con quale varietà, gentilezza e squisitezza d'epi– teti, e con quale acco.rato e quasi fratellevole affetto il poeta la in– voca ! Ma anche l'astro maggiore, di cui il Leopardi fece nel Saggio cosi bella e sentita descrizione, entra per non poca, parte nella poesia leopardiana, e sempre con novità di figurazioni e con opportunità ed efficacia artistica. Né meno opportuni ed efficaci riescono tutti gli altri aocenni a fenomeni astronomici e fisicì, che .spontaneamente offrendosi alla fantasia del poeta, venivan quindi naturalmente a inserirsi nella concezione e rappresentazione artistica, per il fatto ch'egli sentiva la sua anima lirica vibrare all'unisono e fondersi e immedesimarsi nell'in– finito mare dell'essere. Cosi, dopo la parte conceduta dall'autore anche nelle Operette morali a belle finzioni ove la fantasia si giova delle cognizioni dall'autore acquisite nel campo delle scienze astronomiche, fisiche e geografiche, abbiamo la parte più maestrevolmente utilizzata in quella maravigliosa Ginestra, ove la descrizione di un cielo stellato in una serena e limpida notte tocca il sublime, trasportando il poeta, e il lettore con lui, in quei campi sterminati, per fargli da un lato pro– yare l'ebbrezza di perdersi e obliarsi in quella immensità, e per ri– chiamarlo dall'altro alla considerazione della sua piccolezza e fragilità di fronte all'immensa grandezza e potenza della natura. Come nel Saggio si trova, rimaneggiata e vòlta a uno scopo preva– lentemente artistico, gran parte della materia, della Storia dell'Astro– nomia, cosi in esso agli autori nella Storia citati, molti e molti altri nuovi si aggiungono, specie de' classici greco-latini. È particolarmente osservabile quest'uso sovrabbondante che il Leopardi fa dei classici, per– ché dimostra con esuberanza non solo il gran numero di quelli antichi autori ch'egli in questo tempo doveva avere alle mani, e di cui rife– risce i passi « autentici» ; ma col recare tradotti i luoghi degli autori greci (ch'egli tradusse più a ostentazione della sua bravura che a van– taggio de' lettori) ci offre le prime prove della balda sicurezza ond'egli già sapeva voltare i luoghi di quelli autori in bei versi italiani, prelu- - dendo cosi alle magistrali traduzioni di essi in cui posteriormente si compiacque e si esercitò. Tali versioni poetiche di brani, talvolta lun– ghi, di autori greci s' incontrano spessissimo nel corso del Saggio, e specialmente dei più celebrati poeti ~i quella nazione, come Omero, Sofocle, Euripide, Aristofane, Menandro, Teocrito, Senofane, Pindaro, Anacreonte. Non meno abbondanti sòno i -passi degli scrittori latini che il Leopardi si contenta di allegare testualmente. Così vediamo sfi– lare, oltre ai Padri e agli Storici ecclesiastici che Giacomo aveva com– pulsati ne' suoi lavori del '14, oltre alla Bibbia, ai Profeti, ai .Salmisti e _all~_sacre carte ricercate nel breve fervore de' suoi studi di ebrsi,ico, V1rg_iho spessissimo, Lucrezio, Orazio, Ovidio, Catullo, Tibullo Pro- - p~rz10, Marziale, Persio, Giovenale, Seneca, Stazio; e talvolta 'anche Cicerone, Quintiliano, Plinio. Ma l'autore dichiara di volersi preci– puamente affidare « alla scorta dei poeti», perché parlando essi « d'ordi- BibliotecaGino Bianco
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