Pègaso - anno IV - n. 11 - novembre 1932

626 _M. TIBALDI-CHIESA, t:iohubert l'afflato drammatico e la prodigiosa vive1,za dei contrasti; anche quella Sinfonia, la IV, che egli stesso intitolò Tr-agica, non è per noi che un'am– pia effusione di dolci malinconie. Fra tutte emerge il miracolo dell'In– compiuta, la VII, troppo nota perché se ne parli: ci voleva solo una società grammofoniea, e per giunta amerieana, per av_ere l'idea malau– gurata di bandire, in oocasione del centenario ,schubertmno, un concorso internazionale per «finire>> questa Sinfonia (che certo ,Schubert dovette considerare come definitiva nella sua forma, se la donò alla Società di Graz· ed è nel •suo genere cosa perfetta) ; per fortuna il concorso andò 'fallito' e lo scempio è stato evitato. Fu Schubert un sinfonista nel vero significato della parola ? Certo, malgrado l'apologia fattane da Schumann e i molti tentativi successivi, egli non è riuscito (eccezion fatta per l'Incompiuta) ad imporsi stabilmente nel repertorio sinfonico. Del colore orchestrale egli ebbe un senso particolarissimo, poetico e per– sonale; ma le ,sue prime Sinfonie furono scritte per un'orchestra ridotta di dilettanti; le ultime furono, al suo tempo, dichiarate ineseguibili, ed egli non ebbe la ventura di udirle; spesso egli sembra precorrere, nella diffusa poesia, nel disegno sottile, nella fantas-iosa levità, la moderna concezione dell'orchestra da camera piuttosto che la massiccia cpstru– zione e il forte chiaroscuro dei ,sinfonisti a lui succes,sivi. A volte anche la vastità e complessità della forma in più tempi ,sembra pesargli, e non sempre riesce a sostenerla senza stanchezza. Egli stesso dovette render– sene conto, quando, dopo i primi due tempi, interruppe la composizione dell'Incompiuta: probabilmente egli sentiva di non poter mantenere la sua ispirazione all'altezza iniziale, e gli abbozzi rimasti dello Scherzo sembrano dargli ragione. Ho detto come egli ebbe sempre presente, nella maturità della sua produzione, l'esempio di Beethoven; ma certo la natura dei due musieisti era fondamentalmente opposta, e for•se non sempre il modello del Grande gli fu ,di giovamento. Beethoven era so– prattutto un « drammatico l>, mentre Schubert era essenzialmente un «lirico» (e precorre, in questo ,senso, sotto molti aspetti, anche nella musica strumentale, Schumann e Brahms). Per questo anche il problema della forma, se pure apparentemente immutato, assume in lui caratteri e neeess,ità diver-se: lo s.volgersi dei temi lo porta di rado, att1'averso una logica ferrea ed un' accesa fantasia, ad aspetti contrastanti, a scorci improvvisi, a subitanei scatti, a costruzioni serrate e concise; no, in lui è piuttosto uno ,s.pontaneo e quasi fluviale fluire di melodie, così soave e naturale ehe, - -scriveva ,Schumann nel suo entusiasmo, - « non c'è ragione che il pezzo ,finisca .... »; ma ~pesso, in questo annullamento del tempo e dello ,spazio, il .senso delle proporzioni si perde, e non sempre la « celeste lunghezza>> delle sue composizioni (per dirla ancora con Schu– mann) ci trova consenzienti. Per lo più l'atmosfera iniziale del pezzo ri– mane immutata, senza che i temi .si arricchiscano, cammin facendo, di nuove ·&ignificaz.ioni. Anche quando scrive delle variazioni ,sui temi dei _Lieder a lui più cari (Der Tod und das Miidchen, die Forelle) raramente ne trae un'insolita, varietà di atteggiamenti. È come un albero rigoglioso e _fronzuto, che gitta rami e fiori e foglie, prodigo di ombre amiche e di_screte, o~pitale ai garruli nidi, come uno di quei tigli cari alla sua Vienna nativa. BibliotecaGino Bianco

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