Pègaso - anno IV - n. 11 - novembre 1932
M. TIBALDI-CHIESA, Schubert 625 fos~~ tra,~ina,to in un mondo ideale, che anche a,i suoi compagni più fidi e più_ cari ~ra, precl~so, dove egli, per uno sdoppiamento quasi di per– sonalità, s'lillinedes1mava, dei fantasmi poetici ché andava musicando, e così, toccando un cielo di beatitudine, raggiungeva quelle aspirazioni che non poteva appagare nella, misera vita quotidiana. Per questo aceompagneremo l'autrice nella chiara e a volte fin troppo ·minuziosa, analisi che essa fa, per altre centoventi pagine, del– l'opera multiforme di lui, cercando, sia pure in una rapida scorsa e seguendo un diverso cammino, di dare della, personalità di Schubert una, più chiara visione. Incominceremo dai lavori teatrali; m;:i,non a questi, certamente, è affidata la fama ,di Schubert: forse al teatro egli non pensò mai seriamente, o per lo meno scrisse le sue opere con troppa fretta. Fu per emulare le fortune di Rossini, che trionfava allora sulle scene vien– nesi, e per tentare a sua volta una più rapida ascesa che Schubert, spinto soprattutto dagli amici, si provò più volte nella, composizione di lavori teatrali e ne scrisse diciotto, vari dei quali andarono perduti o rimasero incompiuti; ma eglì, che pure aveva, un intuito così felice nella scelta delle poesie per i suoi Lieder, non fu altrettanto accorto e for– tunato nella ricerca dei suoi lìbretti; e non solo questi non presentavano alcun interesse letterario (salvo Claudine von Villabella, un Singspiel, e non dei più importanti, di Goethe, di cui ci restano solo dei fram– menti) ; ma, quel che è peggio, non offrivano neppure pretesti suffi– cienti di buone situazioni sceniche e musicali; sicché in quasi tutti egli ha disseminato qualche pagina pregevole, ma senza riuscire a far opera vitale ed organica; la sola che sopravvive (a parte le esumazioni occa– sionali) è la « musica di scena», deliziosamente ingenua, composta per Rosamunde. Certo, del teatro sembra essergli mancata .una visione tota– litaria; da vero «lirico», quale egli era, riusciva ad esprimere mirabil– mente di una vicenda qualche episodio, ma il dramma, o la commedia, nel suo complessò gli ,sfuggiva; o forse egli era più adatto a significarli nella forma più ristretta del Lied o ,della Ballata. Rure è da rimpiangere che egli non sia vissuto più a lungo e che non abbia potuto, rinnovando le esperienze ,su testi poetici più consoni alla sua indole, porsi più chiara– mente il problema del teatro lirico. Rammento come Pizzetti, nel suo studio su Bellini, abbia deploràto che al catanese fosse ignota la, tra– gedia greca,, immaginando quale mirabile interprete egli sarebbe stato del mito pietoso -d'Ifigenia. Altrettanto potremmo pensare di Schubert; pure quel mito gli era noto attraverso le riduzioni di Schiller e di Goethe; e appunto il Monologo d'lfi,genia era fra i suoi Li,eder uno di quelli che Beethoven prediligeva. Chi sa, forse egli avrebbe potuto essere, più ancora di Gluck e di Weber (almeno come felicità melodica), il creatore dell'opera, lirica tedesca, il Bellini della Germania (egli che pur col nostro ebbe tanta affinità d'indole e di destini) ; JJ1a siamo nel campo delle ipotesi, ed ogni rimpianto è vano. Veniamo piuttosto. alla musica sinfonica e strumentale. Nove sono le Sinfonie che egli .scrisse, una delle quali, l'VIII, è andata perduta; fra quelle che ci restano le prime risentono dell'influsso di Mozart, mentre nelle ultime è evidente l'esempio di Beethoven; ma del primo egli non ebbe il senso perfetto delle proporzioni, del secondo gli mancò 4,0. - Pègaso. ibliotecaGino Bianco
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