Pègaso - anno IV - n. 11 - novembre 1932
L. PULCI, Il Morgante 623 colorita, senza troppo rispetto della grammatica e della sintassi, e so– prat~utto della eleganza e della nobiltà, purché la parola e la frase con– servmo la natia freschezza. Di qui la necessità di leggere il poema nel testo genuino che usci dalla penna del faceto amico del Ma,gnifico. Pur troppo questo testo fino ad oggi è mancato per la dispersione delle primissime stampe e per l'assoluta scomparsa dei manoscritti. Guglielmo Volpi, al quale dob– biamo la migliore edizione moderna (Sansoni, Firenze, 1900-1904), do– vette tontentarsi di prendere per base del suo testo l'edizione veneziana del 1489, nella fallace speranza che fosse una fedele ristampa dell'in• trovabile edizione fiorentina del 1483, la quale pubblicò per la prima volta il poema completo in ventotto canti, rivisto dallo stesso autore, un anno prima della sua morte. George Beston Weston, filologo inglese, ha avuto la fortuna di esa– minare e collazionare l'unica copia di questa edizione, che esiste nella biblioteca britannica di Londra; su di essa e col sussidio di due prece– denti edizioni del cosi detto Morgante minore, delle quali una copia è nella Estense di Modena e un'altra in una biblioteca di Parigi, ha potuto ricostruire il testo critico del poema, liberandolo di quegli errori e di quelle alterazioni lessicali che il caso o il capriccio dell'editore veneziano avevano introdotto nel testo del 1489. Una nota finale sulla storia del testo, assai istruttiva, e un elenco delle principali varianti tra il nuovo testo e quello adottato dal Volpi, che documenta la superiorità della nuova edizione, chiude il lavoro. Con la nuova lezione alcuni passi oscuri acquistano un significato comprensibile, altri dubbiosi diventano chiari; altri errati ritornano corretti; molti infine riprendono la loro schiettezza fiorentina o·l'andatura un po' trascurata, ma più conforme allo stile del Pulci, specialmente nelle sfumature lessicali; sono questi i casi nei quali i vecchi editori con maggiore frequenza si erano permessi di porre la mano allo scòpo di «ripulire», ma con la conseguenza di alterare il passo !l spesso di disperdere la fresca giocondità dell'autore. Però anche il W., come già ebbe a rilevare M. Barbi (in Pègaso, III, 5, pp. 605-606), pur essendosi proposto di riprodurre materialmente il testo del 1483, non è riuscito ad evitare alcuni errori tipografici, n,é ha saputo darci una interpretazione che appaghi in tutto il lettore e un glossario, che sarebbe stato tanto utile per chiarire certi passi del poema. Mende senza dubbio non trascurabili, che talvolta ci impediscono di gustare in tutta la schietta fiorentinità del Pulci il poema, nel quale dif– fuse i tesori della sua arte briosa, bizzarra, inconsciamente sciatta e di– sordinata, senza curarsi ,di renderla più interessante con le attrattive della novità, - perfino nel titolo il Pulci si risparmiò il peso di cercarne uno adatto e laisciò che lo imponesse il pubblico e lo accolse, pur sapen– dolo inesatto - (nell'inoipit dell'edizione fiorentina del 1482 si legge: « .... Et poiché cosi si contenta il volgo che e sia appellato Morgante derivato da un certo gigante che interviene in esso. Per non opugnare a tanti Concedesi che così sia, il suo titolo. Ciò el Famoso Morgante »). Il Pulci vuole restare fra i cantastorie non per guadagnare la vita, ma per un capriccio della sua fantasia, conservando dei cantastorie il disegno disordinato, il fare alla buona, l'andatura piana, disinvolta e ibliotecaGino Bianco
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