Pègaso - anno IV - n. 11 - novembre 1932
Lettera a Jacq·ues Copeau, sulla tirannia della messinscena 605 <mbismo, l'ambizione dell'immane, e quasi il desiderio d'essere monumen- , tali una sera sul palcoscenico, non potendo, con una fabbrica stabile e reale, esserlo per secoli sopra una piazza. L'attore o il cantante è per loro una form1crusperduta tra quelle nude muraglie che sommariamente rappresentano il fato. Non basta. V'è in molta pittura, detta d'avan– guardia e deformante un'ironia più o meno confessata e un senso quasi di caricatura i quali hanno, per gli spettatori più cerebrali, un certo incanto perché indicano un distacco e quasi un disprezzo della pi<.'cola ~ mutevole realtà. Quando uno di questi artisti si dà ad accompagnare a sghimbescio con la sua geometrica messinscena musiche, vecchie ,o nuove, cordialmente liriche e patetiche, il pubblico si trova a vedere sullo stesso palco derisa l'estasi cH due amanti o l'agonia d'un eroe e, lo volesse, non riesce più ad a,bba:ndonarsi e a commuoversi. Così il pericolo incombe sul teatro da due parti: dalla parte dei -così detti sintetisti, e dalla parte dei così detti realisti che, in fondo, sono ancoi::a i padroni dei teatri maggiori. Un'opera leggera, una scena d'amore, un balletto d'agilità e ,di grazia ancora quasi pastorale, una -pantomima commossa o scherzosa vi sono sovente soffocate da scene faraoniche, da moltitudini di comparse, da un accecante sfoggio di costumi, anche perché l'impresa spera che il pubblico, se non applau– dirà la musica nuova, applaudirà la messinscena nuovissima. Anzi lo stes•so autore, specie se è un giovane o se ha da :dire qualcosa di suo in un modo per i più inusitato, timidamente s'appoggia a questo opulento alleato . La pratic a conclusione è che i bilanci di questi teatri sono spesso schiacci.a.ti dal costo della messinscena. Molte opere nuove non si pos sono più dar e né a Parigi mé a Berlino, né a Milano né a Monaco, per lo spavento, non tanto di quello che costerebbero orchestra, cori, cantanti, ma scene e costumi i quali, c.a.duta l'opera, valgono zero. Tutto il mondo è paese; ma, in un certo senso, poiché noi s'è meno schiavi della moda e più lenti, cioè più prudenti, nel capovolgere senza una sicura ragione il mondo ~dell'arte, certi pericoli sembrano meno urgenti da noi che da voi. Lo stesso inquieto Bragaglia che tra i primi ha portato alla nostra ribalta questi problemi, oggi non ripe– terebbe più la sentenza di cinque anni addietro : che il teatro di domani sarà diretto più alla sensazione che al pensiero. Certo non basterà ricondurre alla semplicità e alla ragione la messinscena per guarire d'ogni suo male il teatro. Ma il primo prusso è liberarlo da questa tirannia e liberare autori, attori, impresari da questa illusione che il teatr~ .sia soltanto spettacolo, la poesia UIJ.a semplice occasione o pretesto allo spettacolo, ,e il mettinscena, il padrone della &cena. A continuare cosi il novanta per cento degli spettatori preferirà di go– dersi una buona musica al grammofono o alla radio, un buon dramma alla lettura, in pace, lontano dagli apparatori che hanno preso sul– l'altare il posto del sacerdote. « Il mettinscena non entra in funzione che quando il poeta manca. » D'a,ccordo, caro signore. Forse la comune povertà aiuterà dovunque questa liberazione dell'oro della poesia dagli orpelli. UGO OJETI'I. ibliotecaGino Bianco
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