Pègaso - anno IV - n. 11 - novembre 1932

598 C. Alvaro si posavano come polpastrelli sulla tenebra q nasi su un vetro sem– pre ugualmente lontarro. Avremmo viaggiato cosi tutta la notte. Questo pensiero mi dava un sollievo, quasi che, mutando luogo, anch'ella avrebbe mutato, e io potessi ritrovarla JPer incanto quale era stata prima. Impellicciata, coi grossi guanti, guidava diligen– temente, come se riandasse una lezione a memoria; tutto di lei mi 1 pareva inaccessibile, e pure era accanto a me, e spesso le urtavo contro; i capelli biond[ le sfuggivano di sotto il berretto; l'inte– resse che metteva a quell'operazione come se non sentisse e non vedesse altro, me la rubavano definitivamente. Ma questo di correre insieme era già un modo di stare vicini, di fare qualcosa in comune, di pensare e ved'ere le stesse cose, i particolari della strada, la luce che andava sondlando la nebbia notturna, i mutamenti di velocità: questo stabiliva una certa comunanza di pensieri e di sentimenti. Ora mi pareva che ella corresse alla sua libertà come l'orologio del cruscotto correva incontro al giorno. Un amore sen?;a parole, un fine senza JParole. La sua, presenza al volante, la sua forza, la sua resistenza, erano per me altrettante prove di cui ero geloso, e che la dicevano libera. Le dissi, posandole una mano sul braccio : - Mia cara, so che tutto è finito, ma vorrei pa,rlare, vorrei dir– ti.. .. - Ella si volse, posò gli occhi dove io avevo messo la mano sì che la ritrassi. Mi sorrise a fior di labbra come a un fanciullo. Sem– brò a tratti, alla, mia fantasia malata, che mettessimo in iscena un lungo viaggio al termine del quale l'avrei raggiunta d'i nuovo. Que– st'attesa era ancora qualche cosa, e io avrei desiderato che durasse. Il motore era calmo e sicuro. La tromba aveva una voce che tornava indietro a vuoto dloipod'aver corso avanti cercando. Ella aveva da fare con tutte queste cose come se_le ritrovasse ; in quel momento appartenevano tutte a lei sola, come gli oggetti d'ella sua toletta. Avrei voluto rompere quell'ordine che si andava formando, poiché sentivo la sua libertà ringagliardire ; ella mi domandò se fossi stanco, se avessi sonno, ma da quale distanza. L'orologio della macchina segnava le ore notturne, quelle che tante volte aveva se~ gnato segretamente per noi, le tre, le tre. Si fermò per sorbire un caffè caldo dal term:os e ne offrì un bicchiere a ~me, evitando anche il semplice contatto di bere allo stesso reciJPiente. 'Ma il metallo ser– bava l'od'ore delle sue mani come una materia porosa. - Non avevo mai sentito cotesto profumo. -· Ella me ne disse jl nome tranquil~ lamente. L'alba si annunziava, intirizzita, cominciava a rivelare le cose come se crescessero dalla terra, impastate ancora di terra. La strada si aprì bianca con le impronte di quelli che erano passati durante il giorno, una lunga storia da decifrare. BibliotecaGino Bianco

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