Pègaso - anno IV - n. 11 - novembre 1932
Solitudine 597 ora m'era proibita, ed ella stessa m'era proibita, presa da un pu– d'ore nuovo. Quella camera io non l'avrei più riveduta pensavo· e . ' ' an.davo rimproverandomi di non avervi fatto abbastanza atten- zione; mi prendeva il bisogno di rivedere un mobile, uno specchio, la disposizione delle sedie, gli oggetti sul tavolo da toletta, e quel modo che ella aveva di disiPorre le sue cose personali come avrebbe dlisposto dei giocattoli, e che tante volte m'avevano fatto pensare a lei con improvvisi slanci di tenerezza .. Ohi non ha conosciuto queste cose non sa che cosa voglia dire la, fine d'un amore. E proprio ora avevamo bisogno di vederci e di osservarci, come se lèggere nei no– stri occhi una reciproca ammirazione fosse una cosa nuova, e col sentimento che nessuno più fra noi avrebbe potuto levare la mano e le parole verso l'arltro. Quella fine somigliava straordinariamente a un principio, e io come al principio 1Pensavoalla possibilità irre– quieta di accostarla a me, dli toccare con dita leggiere una ciocca dei suoi capelli, e questo ora m'era improvvisamente vietato, senza parole, ma con sguardi che mettevano fra di noi una distanza. Già sotto la luce della sue pupille io ero remoto e mi confondevo coi ricordi. Allora andavo pensando al male che le potevo aver fatto, come per rassicurarmi che ero stato io a compierlo, e la natura di quel male, come 1Perdirmi che ero stato proprio io a conoscerla. Con una fantasia orribile mi rappresentavo già che domani un àltro sarebbe passato, e avrebbe avuto il primo slancio tenero verso di lei, e le avrebbe detto parole che forse io le avevo dette. Profittai di una sua momentanea assenza per sentire il peso, l'odore, la pelle della sua borsetta, vedere le cose a lei familiari, come per trafugare il maggior numero di memorie. Ecco il profumo della sua cipria. Quando ella rientrò, questo ricordo della sua cipria mi invase in modo insoPIPortabile e provai a dirle: - No, non è quello che tu pensi; tu ti inganni, certamente .... - ma mi accorsi che queste frasi non avevano senso. Ella stava preparando le cose necessarie, e io mi accostavo a lei. Rentivo che questa vicinanza le era indiffe– rente, e mi ricordai che, pochi giorni prima, sentirmi vicino la smarriva. Mi sentii vecchio, usato, con una volontà di distruggerla e di aggredirla che mi faceva sentire più profonda la mia miseria. Di quella forma di rapporto, in cui mi trovavo come un miserabile, e che ai suoi occhi doveva aumentare il risentimento che aveva verso di me, ne porto ancora la ferita, è uno dei ricordi più vili della mia giovinezza. Ella diceva pallidamente : - No, no, no - e neippure lei sapeva a che cosa dicesse di no. Io calcolai che durante la nostra gita sarebbe sopravvenuta la notte alta, che ci saremmo fermati in qualche locanda sulla strada, magari per mangiare un boccone, e su questo calcolavo con la freddezza d'un ladro che aspetta la sua vittima al varco. Volle stare lei al volante. Sgusciammo fuori della città come se portassimo con noi un delitto, i lumi della macchina iblioteca Gino Bianco
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