Pègaso - anno IV - n. 11 - novembre 1932

596 C. .Alvaro adottato un !Profumo. Parlavamo di cose del tutto indifferenti, lontane, con quella cura particolare che vieta ogni allusione. Solo al congedo ella concesse di baciarmi, ma subito ritraendosi. Era la :fine. Ma mentre cercavo di accostarla tutta a me, sentii che ella era divenuta pesante, qualcosa che resisteva come se fosse piena d'un nuovo elemento. I suoi occhi erano spianati e chiari, il suo viso disteso, un po' gonfio, d:'una tenerezza di pelle che mi diede ricordi e impressioni di frutta. Ella stessa aveva un senso dli calma, di solenne pace, che avesse ritrovata fuori di me. iMentre uscivo mi avverti che avevo qualcosa sulla giacca, e la tolse attentamente, con un gesto familiare, uno di quei gesti che alle volte, non si sa perché, vi fanno sentire d'essere vecchi. Ella stringeva le mani davanti al petto perché io non l'accostassi troppo. Uscendo ebbi l'im1Pressione che tutto fosse finito, e che ella mi metteva alla porta, come se avesse trovato una ragione della sua vita, o si preparasse per un lungo viaggio. 1Misentivo povero per istrada, povero e trascurabile. _E spoglio come un albero· che ha dato i suoi frutti.' Tutto intorno seguitava l'illusione della primavera, e io ero ormai una S!l)Oglia. La stagione del sole era il principio di una giornata lunga in cui io non avessi più nulla da fare. Allora riandai con la memoria al male che potevo averle fatto, e mi ricordai con un misto di ve:r:gogna, di rimpianto e di soddisfazione, degli eccessi cui l'avevo condotta. A questo legavo la sua aria calma, rosea, e placata, come se fosse sa.zia di un cibo. Ma quelle mani che proteggevano il seno non potevo di– menticarle: si :fissarono nella mia memoria, in una memoria dive– nuta fisica, solenne, profonda, la memoria degli istinti. Mi invase una frenesia felice e malinconica, il sentimento di aver commesso un male irreparabile ma di aver compiuta un'opera della natura; un'allegria smodata; un dolore !Pungente. Mille indizi nuovi mi apparivano alla mente, mi ricordavo la storia di quelle trasforma– zioni, e mi sentivo sovrano come l'opera della natura. Ma, insieme, il sentimento di essere stato derubato, e fui geloso del dolore che ella avrebbe affrontato, al quale non avrei potuto partecipare, da cui ero escluso come se la mia opera fosse finita. La supplicai per telefono di ricevermi ancora perché avevo qualcosa da dirle. Ella capì. Mi disse con calma: - Vediamoci domani. Io devo andar fuori con la macchina. Faremo una passeggiata. XIV. ~artimmo di sera. Saremmo rimasti forse tutta la notte in viag– gio, fuggend'o la notte e l'iml[)ossibilità di stare vicini in una stanza nota, di parlarci, di guardarci, e nello stesso tempo il bisogno di rivederci, come ad affrettare senza rimorso una fine. La camera che io avevo tante volte varcato con una facilità che ancora mi stupiva, BibliotecaGino Bianco

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