Pègaso - anno IV - n. 11 - novembre 1932
594 O. Alt,aro sue piante, coi suoi fiumi, col suo mare. Ripetevamo gli stessi atti immemorabili di cen tinaia di anni, gli stessi atteggiamenti del– l'amore ripete.va.mo le stesse parole; ma alla fine ci piombava nel cuore ~n senso di v uoto come se con le lastre di ghiaccio che si . ' scioglievano nel nostro cuore si fosse rotto -;enza rimedio un og- getto fragili~simo. Vestita più di leggero, ella sedeva sulle mie gi– nocchia e si stendeva fra le mie braccia che poi si richiud'evano sopra di lei ; un atto che faceva inconsciamente, e iper cui io ero divenuto uno stampo fedele: ella compiva quest'atto con la dolce violenza d'un medico che visita un malato, io ero la sua sedh1 natu– rale, ed ella cercava di pesarmi assai poco. Stava come una buona allieva, era pericoloso parlare, insieme non pensavamo più a noi ma all'amore del mondo, alla vita d'el mondo, e ad esso partecipava.mo come un elemento del gran coro. La primavera : era un tornare· alla luce, dagli abissi della lunga- notte invernale; scomparivano gl'incubi delle idee nuove, delle follie senza ragione, il turbine della civiltà si fermava alle soglie di questa stagione, ed era ipossibile vedere, per le. strade, vecchie coppie çhe andavano spiando se le rose fossero :fiorite,· e si conducevano per mano. Era dappertutto una volontà di ritrovarsi semplici, e lo stesso color rosso delle car– nagioni invernali diventava d'un roseo dolcissimo, come se tutti fossero usciti da un lavacro. Stando fra le mie braccia, ella vi si adagiava col piacere d'un gatto, i suoi occhi e le sue labbra avevano un tremito d[ una fanciullezza lontana, il mondo era divenuto buono, e anche a noi pareva fosse accaduto lo stesso. Ripensavamo all'inverno, e alle scene che erano state fra noi come a un tempo cli. cattiveria infantile. Io avrei voluto dirle che l'amavo : ma mi ri– cordavo della sua mano che mi proibiva sem1Prequesta parola chiu– dendomi la bocca. E fuori ci cònce-devaimoquello che tutta la città si concedeva; i desinari all'aperto, la visita ai laghi su cui già tre– molavano le prime vele, i caffè lungo i laghi o nei boschi, dove i suoni d'ella radfo diventavano voci della natura e si scioglievano nell'aria purissima. Una sera di queste, in cui avevo guardato dalla finestra come già i tigli mettevano i fiori, ella· notò che io avevo imparato abbastanza bene la sua lingua, e tra le mie parole notò che io ne dicevo alcune di gergo, rimaste attaccate a me come il fango della stagione invernale. Erano parole che quell'anno fa– cevano furore nel linguaggio galante. Volle che sentissi dei dischi nuovi al grammofono; erano canti a mezza voce, accompagnati da suoni strani, come se l'armonia del mondo si fosse mutata e non lontano cantassero quelle voci, ma d'entro -di noi, col coiore delle nostalgie di paesi ignoti e di ignoti sentimenti. Il mondo a quei ~uon~diventava leggero e vagante, i rapporti facili, le suggestioni m:fimte, e inquietissime. Quelle voci si levavano da un deserto di cuori, dove non esisteva altro che una molle sensualità, traversa- BibliotecaGino Bianco
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