Pègaso - anno IV - n. 11 - novembre 1932
Solit11dine 593 quella d~ una signora, fino a ghermirla. - Ella, in sei mesi, non ha ancora imparato bene la nostra lingua - mi disse dopo avermi osservato, il dottore con un tono perentorio. - E ~on ha veduto quasi nulla di Berlino - aggiunse Elfrida guardandomi fredda– mente. - Che cosa volete che vada a vedere? - esclamò la signora socialdemocratica: - il falso stile greco e le fontane di falso stile Rinascimento ? - Il discorso non proseguì, perché tra le !Persone che avevano fatta la commedia dei generali era scoppiato un inci– dente. Una bottiglia volò in pezzi e ruppe il lampadario. Ci tro– vammo al buio. Mentre la domestica portava le candele, salì da quella penombra un coro, e tutti si misero a cantare. Era un vec– chio canto tedesco. Si guard'avano tutti negli occhi pieni d'ombra, e dapprincÌ!Pio pareva ancora uno scherzo. Ma poi il coro divenne solenne, lontano, profondo, e anche le donne cantavano, e anche Elfrida. Io la guardavo. Era come su un'altra riva, irraggiungibile. Ero io che avevo tenuto fra le braccia quella donna ? Il canto me la portava via, ella vi si affidava come a una corsa impetuosa, e forse non mi riconosceva più. XII. Alle prime giornate belle sentivo il bisogno di correre a Elfrida, e dli portarle l'annunzio dei mutamenti dell'aria, e l'impressione d'ella città che si and'ava desta.ndo alla luce come a una giornata lunga. Abbandonati i panni pesanti, le donn<>aveva,no movimenti naturali che ricordavano gli ondeggiamenti dei pesci, e difatti esse si muovevàno quasi in un elemento liquido; n,ll'improvviso certi atti ricord'avano le IPOsiture d'ei fiori, il piegarsi dell'erbe e degli alberi, e la veste li scopriva come un'acqua trasparente. Al– cuni fiori bucavano la dura scorza della terra e vi lasciavano una ferita. Questo annunzio d'ella buona stagione trovò Elfrida quasi impreparata, ebbi l'impressione che fosse in lei come il desiderio di riprendère contatto con la gente della sua stessa origine, come chi volesse rivedere i luoghi nativi. Solo dia questi contatti ella avrebbe potuto sperare d'i risentire la sua terra, le sue piante, le sue acque; con me era simile al fiore che cresce gracile in una terra non sua. Accade talvolta negli amori disgraziati che ognuno speri la guari– gione da un mutamento di stagione, di luoghi, di qualunque cosa che interrompa il ritmo abituaJe dell'esistenza. Di queste illusioni ci pascevamo ambedue, ed eravamo due malati che_ aspettano la guarigione. Sentivamo che intorno a noi si com1Pivauno dei grandi misteri dell'anno, e quello intendevamo festeggiare, quello godere, ed era un segno che l'amore sopravviveva. Salvare quello che si po– teva di noi, che tutto quello che era accaduto si potesse cancellare : meglio, era la speranza che la natura operasse con noi come con le 38. - fig4IO. iblioteca Gino Bianco
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