Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932

466 A. Janner st'opera giovanile è forse la più bella dell'autore, poiché non vi è an– c6ra, come talvolta nelle opere posteriori, la tendenza a troppo sottiliz-– zare e a tutto voler dire. Opera interessante anche per i non tedeschi, poiché la storia dello spirito tedesco nel '600 e nel '700 è in parte anche la storia dello spirito europeo in quel tempo; e poiché la conoscenza dello Shakespeare venne anche a noi dal movimento spirituale suscitato in Germania dal Goethe e dai romantici. Cinque anni dopo questo primo lavoro, il Gundolf pubblicò (1916) il suo grande Goethe 1 ), che lo mise definitivamente in primissima linea fra i critici letterari tedeschi. Libro ricco anch'esso di parti e capitoli originali, penetranti, definitivi, ma che nell'assieme -è troppo diffuso, e in certe parti ,si ripete. Vuol dare tutto al lettore, non lasciargli più nessuna finezza, nessuna conseguenza da scoprir da solo. Gundolf non intende, come il Croce nel suo saggio goethiano, separare l'uomo dal poeta e valutare solo quest'ultimo; nell'opera goethiana egli vuole rico– noscere anche il tipo d'uomo, :U genio cosmico dell'autore. Perciò non rifugge dall'utilizzare anche quanto di lui si sa per le lettere, i diari, i molti dialoghi trascritti, e li studia in relazione alle confessioni poe– tiche. Ma sa benissimo graduare l'importanza delle diverse estrinseca– zioni goethiane : sa che al centro di esse stanno pur sempre le sole opere d'arte; e che le lettere e i dialoghi ci danno un Goethe più peri– ferico ed accidentale. Pure anche questo Goethe interessa l'autore, perché anch'esso può dare materiale per la figura totale del Goethe « forza cosmica» del genio tedesco. Poiché « solo nell'uomo si può studiare un divenire; le opere hanno come corpi staccati le loro proprie forme, le loro proprie leggi, e non un loro afferrabile sviluppo. Ciò che si chiama storia cli un'opera è tutt'altra cosa che uno sviluppo: c.iò che noi possiamo afferrare e mostrare storicamente in un'opera è un fare; un sorgere, non mai il divenire di una forma : nelle opere dobbiamo contentarci dell'essere. Solo l'uomo ci è possibile afferrare come essere e come divenire, come forma improntata e come viva evo– luzione, poiché l'uomo superiore e specialmente l'uomo creatore nulla fa, e nulla soffre, nulla muove e nulla sviluppa che non dia, un'imma– gine di sé, che non fissi per sempre la sua impronta; e non lascia di sé alcuna forma alcuna opera alcun ritratto in cui non sia sen– sibile ed efficace la sua tendenza vitale». Quindi l'accusa che il Croce fa al Gundolf di psicologismo non mi pare motivata. Il Gundolf non vuole spiegare l'opera d'arte colla vita dell'autore, sa benissimo che l'opera d'arte ha in sé tutta la propria misura; ma dell'opera d'arte come cli altri documenti si serve per costruire « die Gestalt » cioè la figura totale di Goethe. Vita che non è naturalmente la collezione delle ,piccole contingenze e accidentalità e consuetudini che andavano raccogliendo i filologi positivisti, ma l'insieme di quanto l'autore, nel campo dello spirito, ha provato e sofferto, ha voluto e realizzato, ha tentato e non potuto raggiungere. E che non si ritrova tutta nella sua opera artistica. Quel che per esempio l'Italia rappresentò per Goethe 1 ) Ne è apparsa la prima parte in traduzione francese (GRASSET). Traduzione fluida, ma non esente cla errori grossolani. BibliotecaGino Bianco

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