Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932

458 C. Alvaro S' è letto le mille volte, d' innamorati che si chiudono col ricordo d'ella loro amata; ma in me quest'atto era piuttosto un ricordo, un modo di amare ricorrendo a un vecchio esped[ente, una cosa meccanicamente ripetuta, come se in certi atteggiamenti fosse la salvezza. Il telefono era da una parte, e calcolavo il tempo che sa– rebbe passato prima che squillasse e quella voce mi rispondesse di là. Alla fine squillò, era Elfrida che telefonava prima di uscire dall'ufficio; la sua voce era quasi grata e ridente, il tono che gli amanti fortunati conoscono, la voce :fìd'ata e quasi orante, gracile e piena d[ sottintesi, voce che neppure gli apparecchi meccanici riescono a deformare, che anzi :filtrano e purificano, e vi aggiun– gono con la loro imperfezione un colore lontano e puerile. «Che fai ? Dormi ? Ohe fa la tua vicina di camera? Dove fai colazione ? Ti ho lasciato dormire, dormivi tanto bene .... Non posso, sono c<;>n amici, non posso)). La parola dormire acquistava un tono prodigioso, vibrava nel filo come su una chitarra, tutti i fili della città dicevano schlafen, schlafen, e la nasale dell'ultima sillaba aveva un suono d'argento. Sentivo come questi echi si spegnevano, e le d'issi: - Questa sera, questa sera, d'ove e quando ci rive– diamo? - Ella rise dall'altra parte, una risata che l'apparecchio faceva aspra e simile a un abbaiare o a un tossire. Non mi piacque E la sua voce divenuta burocratica rispose : - Questa sera ho da fare, non posso, addio, addio. - La comunicazione s'interruppe e mi ritrovai solo; il pomeriggio e la sera si annunziavano, ai miei pensieri, eterni, a ripensare alle strade della città tutto mi parve piccolo come un villaggio ; e dli.fatti, uscii, le strade erano piccole, affollate troppo, e senza nessun interesse. Mi parve che la cosa migliore per passare rapidamente il tempo fosse quella dì andare in prossimità della casa di Elfrida ad aspettare. Vi andai. Passa– vano davanti a me autobus pieni di gente, qualche automobile. Con uno sguardo ved'evo tutti quelli che. erano nelle vetture, li vedevo uno per uno, e a tratti mi pareva ,di scorgere lei. Cominciò a scendere lentamente la neve, in un'atmosfera divenuta dolce, di– stesa, campestre; la neve sul mio ~oprabito si posava e si scio– glieva subito in piccole gocce; i convogli divenivano più stracchi e rari; da lontano un grande viale illuminato pareva bruciasse in un'alba ,scolorita. Io mi sentivo come l'albero dell'aiuola vicina, ·una cosa fissata nella natura, e non riuscivo a pensare a nulla. Vacillava nella mia memoria l'immagine di Elfrida come se fosse '. ' un 1mmagina,zione, e io non ero più che un essere senza ricordi, che non sentiva neppure freddo. La neve infittì, io guardavo ora come orlava l'aiuola vicina, come ,si posava sul muricciolo, e come nell'atmosfera bianca si diffondevano i lumi d'ella città. Tornando in città mi parve che la neve avesse segnato col suo avvento un rito; gente s'incontrava lungo i marciapiedi, si davano la mano, BibliotecaGino Bianco

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