Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932
452 O. Alvaro come se ella fosse il sacerdote d'una religione cui non credesse. Nel suo studio, tappezzato di disegni d'arte modernissima e già presi da un'antica noia e tristezza, donne guardavano estatiche e nude, uomini stavano rigidi come imbuti. L'impiegato sedette a un suo tavolino d'angolo e osservava me. -Mi sentii come un frutto esotico deposto là per ornamento, e mi misi a parlare. A ogni frase più stentata o più colorita, l'impiegato levava gli. occhi sulla pa– drona. Parlando mi ricord:ai di Roma sotto il sole, un pomeriggio d!:idomenica, di quelle domeniche chiare d' inverno, che la gente va al Pincio, uomini donne e bambini, in un sole attonito, in un calore dolce e vecchio. Udivo i richiami delle donne e dei bam– bini, rivedevo gli appuntamenti sulle panchine, le ore del sole tra i discorsi sommessi, rivedevo le scarpe stanche di certi solitari che ora avevano un momento di tregua a fissare le cupole sotto il sole e il colore della città che pare disabitata e d[ scavo. E il senso di fatica tranquilla della vita italiana, sempre piena di speranza, la ruota, della fortuna che può girare per tutti, una vera e naturale democrazia. Elfrida era alta, con la testa piccina e gli occhi grandi, una voce dolce e dura insieme, in fondo alla quale pareva di sentire come la rottura di un vetro. Io ripensai alla d'onna che avevo lasciato a -Monaco, e non riuscivo più neppure a. ricord'are la sua voce. Ormai era soltanto un gesto e uno sguardo. Ebbi l' im– pressione di avere fatto uno scambio illecito, di avere ingannato qualcuno. Elfrida si metteva tranquillamente il cappello ·davanti allo specchio, e in quel momento .era tutta assorta in se stessa. Ecco nn altro atto che la confondeva con tutte le donne del mond'o, l'at– tenzione che aveva per se stessa, l'esplorazione d'un paesaggio noto e pur sempre nuovo nelle proprie sembianze, come se parlassero nn linguaggio intimo, e la facoltà d'i. trovarvi le più lievi impronte dei giorni e dei sentimenti. Ualandosi la tesa del cappello un poco da una parte e con le mani quasi intrecciando una ciocca che ne sfuggiva, domand'ò : - È vero che in Italia le donne si tingono tanto bene? - Il suo impiegato, dal suo posto, ,replicò: - È una cosa maravigliosa; sono veri e propri capolavori, quando cammi– nano così dipinte per istrad'a. Esse contraffanno i visi di tutte le razze, e con una precisione da ingannarsi. Neppure a Parigi. ,Sono più complesse delle parigine, ma in confronto delle tedesche paiono pur sempre fragili e cascanti. - E i suoi occhi caddero rispetto– samente sulle estremità della sua padrona. Io scossi la testa affer– mativamente : - Già, è vero, perché qui le donne si tingono poco ? - Elfrida mi rispose nello specchio: - I_>erchéqui sono più at– tive e fanno dello sport. - Abbozzò un gesto col p~gno, troppo f?rte per lei. 1 Mi prese un sentimento d'i.vaga irritazione, e il pen– siero che volentieri le avrei data una piccola umiliazione. BibliotecaGino Bianco
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