Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932
446 O. Alvaro lungo il marciapiede. iMa mentre stava per avviarsi le venne a mente il nome di _una pensione di Berlino dove mi sarei trovato bene, e me la raccomandò ; e poi d'un caffiè, il Caffè Viennese, dove ella era solita passare qualche ora il sabato. Mentre si avviava di nuovo, alcuni dii quei crisantemi che stringeva nel pugno si sfo– gliarono sul marciapiede nero e fecero una luminosa macchia gialla. Io temevo che se ne accorgesse troppo presto, e me ne di– spiaceva. Ma fino a che potevo seguirla con gli occhi, ella non se accorse. Il. Mi addormentai pesantemente. Il treno a strappi e a fughe mi trascinav·a lontano come se facesse uno sforzo animato tutto per il mio sonno pesante. Sentivo gente scender.e e salire, un nuovo ritmo nelle persone, una nuova musica del linguaggio. Era come se nella mia memoria giacessero gli schemi d'una lingua su cui le nuove combinazioni di sillabe e di accenti avessero un improvviso rilievo e s'incidessero nelle parti più dolci di questo schema. Un uomo alla stazione di Lipsia accese un grosso sigaro e mi guard'ava d'ormire; tra sonno e veglia mi sentivo addosso i suoi occhi e la ,sua attenzione. Sentii dire, appena feci per cambiare positura: - Lei è austriaco. - No, - risposi insonnolito. - Olandese. - Neppure. - C'era un grande orologio senza numeri che si spalancò sul mio sonno, tutto il– luminato; mi parve che fosse il ,sonno a non farmi vedere i numeri, fuggiti nell'inavvertenza della notte. E tutto nel sonno e'ra desto, pronto, ma pesante. Mi parve di avvertire l'odore d'elle persone che salivano, una specie di alone dei loro mestieri e delle merci con cui trafficavano: della carta, del legno, degli inchiostri; <ili.ealtro si commercia a Lipsia? La notte era profonda, l'a,ria soffocante, il cielo non riconoscibile altro che nel luccichio del vetro dietro al quale ,si ,spalancavano e poi giravano intorno a se stessi i lampioni delle stazioni, e vi si stampava l'interno luminoso d'el treno. Era tutto un universo che si compenetrava di elementi diversi, una crea– zione nuova. -Stranamente notavo i grandi piloni di ferro alle sta– zioni, duomi gotici; il treno odora,va di vernici, ogni mutamento di binario era un suono nuovo; e io in quel mondo mi sentivo vecchio 'e senza curiosità. Piuttosto, istintivamente, e come in un giuoco febbrile, cercavo di mettere un po' d'ordine in tutte queste cose che mi venivano alla mente, ma non mi riusciva, come se tentassi dli controllare i capricci d'un sogno. Il caffè della mattina fu una droga acida. La città si presentò con mille finestre illuminate al– l'alba, le finestre delle officine. I cartelli dli richiamo gridavano, volgendosi per la pianura alla corsa del treno, il nome d'un pro– dotto, e quasi tutti rappresentavano donne e bambini che racco- Biblioteca Gino Bianco
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy