Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932

Solitudine 445 masta ,senza ribellioni di sorta né ambizioni troppo grandi, e già nei suoi atti era un'umiltà di fronte alla vita, un'ammirazione pei for– tunati e pei ricchi, per la collettività, un. senso dei propri limiti, e neppur una di quelle illusioni che nelle donne italiane riscattano la più dura condizione. Qui le categorie mi parevano nettamente stabi– lite, quasi fin dalla natura che aveva lavorato più o meno finemente - le fisionomie e le espressioni. Ella dlisse, e credo senza nessuna in– tenzione: - Gl' italiani sono tanto furbi, - e mi guardò con occhi di convenzionale malizia, contenta di sapere qualche cosa della na– tura d'un altro paese. Furbi perchè? Perchè io le aveva dlato da bere un po' di vino? - A Berlino mi venga a trovare, - ella disse, -etracciò rapidamente su un pezzo di carta il suo nome e il suo reca– pito: Gertrude Bauer, ecc. - Ma forse lei scende a Monaco dove scendo anch' io. È tardi, sono stanca, e proseguo domani per Ber– lino. Tutta una notte di viaggio non potrei sopporta,rla. Mi stanco tanto facilmente. - Fece un gesto e una piccola smorfia, la sua fronte liscia si incrinò a una ruga; questo mi parve un atto geloso -di quella civiltà; che la gente si stancasse all'improvviso, come un ferro dolce si piega. - Gliela fo conoscere io. Monaco f) bella, me– ravigliosamente bella. Andiamo a cenare insieme, e poi facciamo una passeggiata. Peccato che sia notte. Ma domani si potrebbe ri– manere un poco a girare e si partirebbe a mezzogiorno. - Questo era stato detto in tono molto semplice, quasi infantile. Io la guar– dai di:ffi,d'ente, mentre le porgevo un biglietto col mio nome : StP– fano Agri. Ero stanco del viaggio anch' io, e perciò nella mia mente balenò una paura irragionevole, forse perché mi sentivo distaccato -dal mio paese e quasi senza equilibrio. Mi tornò a mente una delle prime parole imparate : Hilfe ! la parola con cui si chiede aiuto. Non avrei voluto che, per uno di quei tradimenti della memoria eosì frequenti quando si viaggia, dimenticassi questa parola. Il treno correva ora per una pianura sterminata, la luce dei fine– strini faceva una diga corrente, un muricciolo chiaro lungo la linea. - No, io non mi fermo a Monaco, mi aspetta qualcuno a Berlino. - Non era vero. Ella ne parve puerilmente delusa e assunse un tono più distaccato, come se volesse esprimere il rispetto verso la mia indipendenza individuale. Era una donna forte, coi capelli biondi e labili, gli occhi d'un turchino d'acciaio e la pelle bruno-rosea. Che fosse ,stanca era una meraviglia,, come se in quel corpo forte l'an– tico languore d'ella d'onna si facesse strada a tra<limento e l'acco– munasse con l'eterna essenza delle donne. La stazione di iMonaco, .all'ora del congedo, ci distaccò del tutto, ormai quasi non ci cono– scevamo più. Mi parve di sentire l'odore di tutta la terra tedesca, forse un od'ore d[ bosco. Ella disse distrattamente, mentre la aiutavo a· metter giù la valigia : - Non si ferma a Monaco. - La sua voce -era dii.venuta un pp' ba,ssa. La vedevo allontanarsi col suo facchino BibliotecaGino Bianco

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