Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932
(32 F. Flora labe di sg1.,1,ainate (da guaina, che viene da vagina) e le riduce a tre! Giuseppe Chiarini scrive bisaccie ! Giosuè Carducci non solo fa sdruc– ciolo adamantirw, che in Italiano era stato sempre piano, scusan– dosi, forse, col dir, che in Latino adama.ntinus ha la penultima breve (Quis Martem tunica tectum adamantina I Digne scrripseris? Horat.; Od. I, vj) ; ma scambia per parole sdrucciole brumaio ed A.iaccio, dando, in ambo questi vocaboli, valor di sillaba all'i, che nel primo è conso– nante e, nel secondo, mero o! né so immaginare, come se ne possa scu– sare. Arrigo Boito si lascia, sfuggire, parlando df mummie, una biascia ed un ooch:iaie. Dieresi? che dieresi d'Egitto! quelle due :;,, ch'egli obbliga a far da sillabe, sono in realtà due j consonanti, le quali tengono il posto di due Z,come basta a mostrare l'origine di quelle parole da blae– sus ed oculus. Misericordia divina! C'è da strapparsi i capelli, da, strac– ciarsi le vesti! Ohimé ! siamo pur giù; ma tanto giù, che più giù non può scendersi! Poveri noi! Poveri, poveri, poveri noi, epigoni 'impotenti. Q.uesta un'Antologia ('An'ro).oyta, scelta di fiori) ? Gnornò, piuttosto un' Acantologia (' A,mv&o.1.oyta, roocolta di pruni). Questo uno spicilegio ? Oheh ! un immondezzaio. Siamo giù, come io credo; e vie più giù, ch'altri non creda. Però tanto giù, quanto potrebbe argomentarsi da quest'acantologia, da questo immondezzaio, tanto giù non siamo davvero, non siamo. Insomma l'Im:briruni avrebbe fatta l'antologia im altro modo, ,scegliendo quel che a lui pareva veramente il fiore delle lettere ita– liaine del tempo. E poiohé il Patuzzi aveva inserito ipassi del Cor– renti e del Coppino, il Misantropo che contro costoro esprime anche severo giudizio politico, osserva : Ma, o perché non inserir qualcosa di Francesco De Sanctis ? poli– ticamente e amministrativamente non val meglio degli altri due:. il Pr·igioniero suo è però, forse, lo squarcio migliore di fUosofia della sto– ria verseggiata nel secol nostro, dopo, sempre, alcune pagine del Leo– pardi; e, pel valore delle teoriche filosofiche, è superiore a' canti del Recanatese. Questo ,spill'ito violento e rissoso porta l'Imbriani, si può· dire, in ogni suo scritto sul G. n. d. D., perfino, forse, nei versi. Ogni oc– casione gli era buon pretesto per assalire e, in fondo spassarsela. C'era una franchezza in questo scrivere dell'Imbriani e un tono che la nostra critica non conosceva e una tal quale confidenza coi lettori che non fu mai frequente nei nostri letterati. Fu l'Imbriani a iniziar la rubrica Spicilegio di spropositi, che del resto era un modo di continuare in altra colonna, quello spicilegio che egli aveva l'abitudine di far sempre nelle sue recensioni e nei suoi saggi, tutti o direttamente o per improvviso incidente polemici, con uno o con due o con dieci avversari. BibliotecaGino Bianco
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