Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932

430 F. Flora zioni come quella dallo Heine (19 marzo) con lo .pseud(;mimo di J ooopo Moeniaooeli. · L'u!Ilo e l'altro, il Fi.orenti!Ilo e l'Imbri,ani, sostenevan che la, cri– tica ilil Italia fosse troppo di manica, larga; ma, se ben si rico,!'lda, anche il 1Mairtini era dlel medesimo avviso nel programma che pre– mise !Ilel 1879 al suo Fanf1tlla della Dom,enica. L'lmbriani dunque, temperamento stroncatorio per eccellenza, autore delle Fame usur– pate 1 comilllciò gustosa;mente a lavorai!'lsi poeti e filologi, e anzi quanti gli eapitavaino a tiro, per un verso o per l'altro. Nel n. 2° Ì!Ili½iò1~ recensiooe d.i due antologie, quella della Crestomazia di Adolfo Bartoli, queUa delle Poesie di autori, contemporanei 1 rac– colte da G. L. Patuzzi: « Alle Antologie, fatte con criterio estetico, noi crediamo che sieno da sostituire quelle fatte con criterio storico>>. - Così scriveva da Gragnuola di Lunigiana, il 15 Ottobre 1881, idest durante le vacanze, Adolfo Bartoli (professore in Firenze, nello Istituto superiore di per– fezionamento), da non confondersi col padre Daniello Bartoli, al qua,le forse e senza forse è inferiore per mille versi e soprattutto nel maneggiar la penna, ma sul quale ha l'innegabile vantaggio e sommo d'esser vivo.... Il Bartoli ha abbracciata col D'Ancona la matta opinione, che ciascun poeta del XIII secolo adoperasse il proprio dialetto scusso scusso ; e che tutte le poesie meridionaìi, che noi adesso possediamo in lingua aulica, non esistan più nella loro forma genuina e primitiva, ma rimutate e toscaneggiate! Non è qui luogo da discutere questa ridicolissima idea, figlia d'un gretto municipalismo. Ma, se le Signorie Loro stesse dicono alterati arbitrariamente quegli scr:itti da' menanti, perché mai riprodurli con tanto studio in questo misero stato ? Perché, puta, stampar cosi il · terzo verso della Cantilena, che va sotto il nome di Ciullo d'Alcamo : Tràmi d'este focora, se t'este a bolontate ? Od il giovane, che legge, pronunzierà focòra 1 piano, guastando il verso e l'economia della strofa; o, se avrà tanto acume da pronunziar come va, fòcora, sdrucciolo, s'accorgerà pure, che il primo emistichio ha una sillaba di meno, e penserà, che l'autore del contrasto facesse versi arrembati, come i Pietro Cossa e i Paolo Ferrari a' di nostri. Tre piccioni a una fava, anzi quattro, comprendendovi anche il D'Ancona. Del resto ben altre accuse faceva agli eruditi d~l tempo suo l'Imbriani, eome si vede rud ogmi passo dei sag,gi danteschi, e Ì!Il curioso modo, in questi periodi che precedono la pubblicazion~ di una novella in sesta rima, col titolo S1tlla prima novella del Peco– rone (19 marzo) : In un codice [C. 43] della Biblioteca comunale di Perugia, ebbi contezza trovarsi una novella in sesta rima, inedita forse del buon secolo. Ed invaghitomi di leggerla e fattala diligente~ente trascrivere ed avutala, mi son subito accorto non essere se non una stessissima Bibliote a Gino-Bianco

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