Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932
H. BERGSON, Les deux sources de la morale et de la religion 511 slancio vitale nelle società •:hiuse, ha affidato ad elementi così eccezio– nali la ripresa in avanti, hi, posto una cosi profonda differenza di na– tura tra morale e religione Etatica e morale e religione dinamica, che non :Sicomprende troppo bene e>me avverrebbe di fatto il passaggio dall'una all'altra, come sorgerebbe10 e su che cosa avrebbero presa i protago– nisti della morale e delh, religione assolute. La morale sociale del Bergsop. non è morale; la sua religione statica non è religione. Sono meyeanismo l'una e l'altra; non meccanismo fisico, ma meccanismo bio– logico. Tanto l'obbligaziom morale, quanto la fabulazione religiosa, non sono propriamente attivitl. coscienti, o, - che fa lo stesso, - rappre– sentano una coscienza divenuta incosciente. La morale comune del Bergson è abitudine, la sua religione comune illusione. Il Bergson, che parla, a proposito dell'uomo primitivo e dell'incivilito, di una sovrappo– sizione di nozioni e di abitudini operatasi nel secondo sopra la natura rimasta identica a quella del primitivo, non si è domandato se egli non abbia compiuto una sovr11,pposizione di altro genere nella sua costru– zione della morale comune (e analogamente della religione). La morale comune è per lui pressione da una parte (da parte della società), abi– tudine dall'altra (da pafie dell'individuo). Che ci siano l'una e l'altra, lo ammettiamo benissimo; ma ci sono, per avventura, come sovrapposte a un nucleo originario, ch'è qualcosa cli diverso. Anche il santo, o l'eroe, finiscono per compiere una buona parte dei loro atti eroici per abitudine. Ma l'impulso originario è dalla coscienza personale, ed esso rimane sotto gli atti abitudinari. Non è lo stesso nella morale del volgo delle « società chiuse ll ? La coscienza morale comune è semplicemente un vincolo di obbligazione sociale ? Prima che verso la società non si considera essa obbligata verso se stessa? Quell'umanità assoluta, che il Bergson vede al termine dell'evoluzione, e che infatti si attua compiutamente all'in– finito, non è tuttavia in nucleo anche al principio ? La morale comune, o sociale, del Bergson è, tutt'al più, il costume, o il diritto, o l'utile della società, o anche la politica. Ma in ogni atto morale c'è implidto qualche cosa d'altro: il rispetto di se .stesso come personalità. Che negli individui privilegiati, a cui il Bergson affida le sorti della moralità e della religione superiori (che sarebbero poi le uni– che veramente degne •di questo nome), questo atto di vera vita interiore sia più esplicito e più forte, lo accordiamo volentieri : ma esso esiste in tutti. Il Bergson rischia di finire, - sebbene vi conti;asti espressamente egli stesso, - nella concezione di due umanità di natura diversa, la massa del volgo e i geni isolati. La vera individualità, .la vera autoco– scienza sarebbero eccezioni. Chi da una qualche familiarità colla storia ha tratto l'abitudine a porre in relazione le moltitudini e gli eroi, sarà incline piuttosto a considerare i secondi come interpreti delle prime, che da esse traggono il meglio dei loro messaggi, la parte veramente vitale, non senza comprometterla più di una volta con le loro tendenze indivi– duali. Non si capisce neppure, come le società « chiuse ll potrebbero aprirsi, se non ci fosse in loro la volontà di aprirsi. Né sapremmo trovare nell'esperienza storica la giustificazione di quel distacco netto fra le società parziali e l'umanità totale posto dal Bergson. Noi vediamo nel– l'antichità sorgere l'universalismo politico ellenistico-romano dalle re- liotecaGino Bianco
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy