Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932

I. BA13EL, L'armata a cavallo 505 tinuo l'abilità e il buongusto da cui egli è stato sorretto nella sua lotta con ostacoli linguistici dei più impreveduti. Bisognava valutare volta per volta il significato delle e!!pressioni verbali, secondo pl'incipii che il Poggioli stesso dichiara assai bene : « ùi parole dialettali son per lo più ucraine e odessite, che ho preferito rendere col tono sintattico piut– tosto, per esempio, che con dei toscanismi. In quanto alle moltissime vere e proprie parole straniere (in polacco, ebraico e yiddisch), pensando che il loro peso in un testo italiano è ben maggiore che in russo, le ho spesso tradotte, lasciandole nella forma originale soltanto quando m' è parso cara,tteristico e indispensabile .... >> (pp. xx-xxi). Circondandola di minori cure, c'era pericolo di rendere illeggibile la prosa del Babel, che, tanto per intendersi, ha le virtù e non i difetti dei nostri << fram– menti», pubblicati anch'essi fra il '20 e il '24. Ma s'è discorso molto dell'« epicità» del Babel, degli elementi che la formerebbero; e il Poggioli, più che non in questa prefazione, vi si è fermato a lungo in un articolo della Rivista di, letterature slave. Forse •hanno sviato un po' considerazioni di contenuto: son poco più di trenta novelle brevi, che tutte padano delle gesta compiute dalla cavalleria rossa di Budjonnyj, nella campagna contro i polacchi clel 1920; agli epi– sodi d'eroismo o di ferocia si. alternano beffe e scene di lussuria, con per– S<maggi che ricompaion sovente, nella medesima atmosfera di animalità che la passione redime. Viene spontaneo di considerar questi racconti come parti di un vasto quadro d' imprese guerresche, di un'« epopea». Senonché non esiste un significato poetico dell'insieme, che, rifrangen– dosi nei singoli racconti, aggiunga loro qualcosa: ognuno di questi trascende il frammento per un suo valore umano universale, raggiunto senza rinnegare i procedimenti tecnici più dotti e singolari. Per esserne convinti basterà magari un esempio solo: « Nello sconti-o di Kòzin m'avevano ucciso il cavallo, Lavrik, la mia consolazione sulla terra. Privo di cavalcatura, m'istallai su una carretta d'ambulanza e raccolsi feriti :fino al tramonto. Ma poi gli uomini sani furon gettati giù dalla carretta, ·ed io rimasi solo presso ad una casupola in rovina. La notte volava verso di me sui suoi focosi corsieri. Il gemito del convo– glio assordiva tutto il creato. Sulla terra avvolta di sibili, s'andava,n spengendo le vie. Le stelle sbucavano dal ventre freddo della notte, e i vil– laggi abbandonati bruciavano all'orizzonte. Carico della mia sella, mar– ciai per un sentiero sconvolto e m'arrestai ad un gomito per un bisogno corporale. Come l'ebbi soddisfatto, mentre mi riabbottonavo, sentii schizzarmi qualcosa nella mano. Accesi la mia lampadina tascabile, mi volsi e scorsi a terra il cadavere -d'un polacco bagnato dalla mia orina. L'orina gli sgorgava dalla bocca, scaturendo fra j, denti e ristagnando nell'orbite vuote. Un quaderno d'appunti e dei frammenti dei proclami di Pilsudski giacevano accanto al ca,davere. Nel suo quaderno si leg– gevano dei conti personali, il programma degli spettacoli al teatro drammatico di Cracovia e la data del compleanno d'una donna, che si chiamava Mari~ Luisa. Col proclama dì Pilsudski, maresciallo e ge– neralissimo, io asciugai il liquido puzzolente dal cranio del mio ignoto fratello e pa,rtii, chino sotto il peso della mia sella» (pp. 179-180: I du,e Ivàn). ibliotecaGino Bianco

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