Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932
G. VIGOLO. C,into fermo 497 non avvertire il suo passo, questa è la, sua pace. E si rifuofa nelle chiese dov~ no1;1 d son~ più sta~io~i, e il clima è fermo, la vita"'fissa agli equi~ noz1 ; o m bracmo alla g1ovme natura, alla figlia prediletta di Dio crea– tore, l'opera sua sola che non teme l'ira delle sue mani distruttrici. Un carro, « un carro massiccio di quercia, con due ruote cerchiate di ferro, lustre per l'andare, due belle ruote, grandi e celesti, con un mozzo com– patto Mme un barilotto intorno a cui baleni il roteante ventaglio dei raggi», un carro cosi, carico di verdura, « che col cavallo, le stanghe, le ruote pare tutto gittato in una sola materia», lo affida sulla continuità della v_ita. Quello è lo stesso carro di mill'anni, e il cavallone normanno « par sceso allora allora da una battaglia murale». Anche il carico di carciofi. sente che è creato per non essere distrutto. Non è un frutto che cresce e si sfa; « con le sue scaglie sovrapposte, asserragliate in ordine d'assalto», ti dà il senso « d'una intensità ra-0eolta, d'una forza com– pressa, d'un pugno serrato», e quel suo cc verde che tende al violaceo e quasi al morello dell'uva matura » testimonia non so che vigore minerale della sua terra. Guida il carro, o ne è portata, una donna, che pat· e< l'au- rora degli orti suburbani». · Ho accennato, un poco alla volta, ai più bei capitoli dei due libri : Il Miraggio sonoro e L'Alleluia della Cupola, che sono nella Città del– l'Anima; Banvo di corallo, Chiese d'estate, Dio padre, Il oa-rro, che sono in Canto fermo. Se dovessi in breve definirne il carattere e quasi il colore intellettuale, direi che esso è dato da una costante aspirazione a un'idea simbolica. Vigolo descriverà anche per ozio, adoprando le parole a un puro fine pittorico; ma il modo suo particolare è un procedere per concentrazioni, per vivi scorci, per volumi densi, quasi sempre con un impegno dimostrativo. E nasce di qui il suo gusto per la parola pesa, solida, anche se non sempre chiara, per quel suo murare a secco. cc Felici quando noi non siamo che occhi, - dice in un certo punto, - e tutto il nostro vivere si riduce a un puro vedere». Eppure non parla di felicità di «visivo». È che negli occhi egli trova la sola e vera gioventù_: meglio, una perennità di gioventù. Di tutti gli organi e< i meno soggetti al male» e che_ <e meno partecipano della comune miseria delle membra » sono essi soli. « La loro sostanza corporea è così tenue, cosi traslucida e sottile che non di materia sembran composti, ma di un appen;:t, ispessito splendor dello spirito>>. Badare a quell'ispessito splendor dello spirito. Si direbbe il contrassegno della parola di Vigolo, nei momenti rari, o, quando mai l'aspirazione sua più gelosa. Quel cercare sempre lo stabile e il cert~ per conforto alla sua inquietudine, trova riscontro in questo ado– prar le parole come si fa delle pietre in un musaico. E non dirò che il lavoro del comporre è sempre semplice, spontaneo e naturale : la sua forza a volte tradisce una volontà d'.obbligo. Prima un respiro musicale e il rusto dell'immaginare grande; ora un disseccamento, e lasciar ve,lere b • • tra parte e parte le commettiture, anche se accortissime. I versi sopra tutto testimoniano questo male d'origine, faticati uno dopo l'altro e giustapposti senza disegno prospettico. Vi son cose che la memoria ricorda senza minimamente reagire, altre trascritte secondo la maniera d'un illustratore romantico; ma tra i due estremi manca un flusso vivo. L'uomo val più dell'artista. S2.- I'ègruo. BibliotecaGino Bianco
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