Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932
R. BAOCHELLI, Oggi domani e mai 495 Vatican, della quale è detto che « tout glissait sur son indéfectible onc– tion souriante >>. In generale, poi, dove troveremo l'origine Ji una certa immobilità e afa del romanzo s~ non in quell'arbitraria, e perciò im– mobile, e pur giudicante ideologia religioso-umanistica dell'autore ? Arbitraria: poiché è arbitrario identirfi.care con un~ « sciagurata dile– zione di se medesimi » che starebbe alla base di tutti i mali della so– cietà moderna, uscita, come dice Bacchelli, dalla famosa polemica lu– terana contro le opere, l'affermazione e l'insegnamento di libertà e di autonomia individuale che, si, in quella polemica erano contenuti. I mali della società moderna saranno moltissimi, dalla psicanalisi alla crisi economica (anche per quest'ultima Bacchelli sembra cedere al vezzo ormai vieto di vedervi un fallimento dello spirito pioneristico e indi– vidualistico, puritano ~d ebraico : ma, o m'inganno, colpita dalla crisi si rivela ogni giorno di più proprio quella produzione a serje, organiz– zata e controllata, nella quale non c'è più traccia di libertà: infido ter– reno, questo delle teorie economiche, e cosi ricco di trappole!) : con tutto ciò non bisogna dimenticare che la interiore liberazione enunciata dalla Riforma è libertà dell'uomo redento e non dell'uomo naturale : e che vi è dunque maggior « dilezione di se medesimi» nei vari postulati anche cat– tolici, affermanti il libero arbitrio, per cui dal regno della grazia si scende in quello della natura, ·con contaminazioni di classicismi ritor– nanti. Del resto, e per concludere, la tragedia di questi personaggi consi– ste proprio nel loro inutile sforzo di diventare, attraverso le relazioni o le occupazioni, gli affari o le idee, attraverso il mondo insomma, di– versi da quello che fondamentalmente e irrimediabilmente sono : dei peccatori, dei condannati. Si richiamano cosi anch'essi alla potente dialettica che fu espressa, sull'aprirsi dell'era moderna, in due famose formule ereticali : il servo arbitrio e la libertà cristiana. E con ciò vo– gliamo dire che questo romanzo, cosi ampio, diffuso, sapientemente condotto, è però paralizzato da un'intima contraddizione: attorno al suo nucleo lirico, alla sua alta tristezza, si addensa una specie di im– poetica nebbia: sono le co'Ylt8olazioni, i moniti, le prudenze, di una pseudo-religiosità che ha troppo paventato di andare a cercare la pro– pria vita nell' interiorità drammatica dello spirito dell'uomo: e alla quale perciò oggi è compito molto difficile ridare un po' di efficacia o semplicemente di sapore, anche quando si è scrittori ornati ed accorti come Riccardo Bacchelli. GIUSEPPE AVENTI. GIORGIOVIGOLO, Canto fermo. - Formiggini, Roma, 1931. L. 10. Giorgio Vigolo scrittore di prose liriche non è più scrittore giovane ormai. Ho memoria di alcune sue pagine apparse nella V ooe dicias– sett' anni fa, ariose e felici, secondo il gusto del tempo e, come in genere sono le prime prove dei promettenti ingegni, tutte in succhio. Anc6ra dopo sett'anni, in molte parti d'un suo libro, La Città del– l' Arllima, quella frescl1ezza labile, quella schiettezza venturosa, quella BibliotecaGino Bianco
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