Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932

486 G. Fe,rranclo una cadenza nuova, non è più sciatta e prolissa, ma chiara, varia, ar– moniosa. La grandezza ùi uno scrittore si misura dalle altitudini rag– giunte, non dal livello medio in cui più spesso si mantiene, e Scott, senza essere un artista raffinato, è, nelle sue pagine migliori, un grande prosatore, pieno di forza e di efficacia. l\Ia è difettoso nel costruire i suoi romanzi, dicono i critici. Anche qui bisogna distinguere. La storia si veniva costruendo da sè, nella sua mente quasi senza che se ne accorgesse, mentre egli dava libero gioco alla sua fantasia;. così la struttura dei suoi romanzi non è il prodotto di una laboriosa meditazione, m:i, è uno sviluppo lento e naturale, simile al crescere di una pianta. Per questo, sebbene sia vero che la struttura dei suoi romanzi talvolta soffra per la fretta che egli aveva di procedere nel racconto, _essi, almeno i migliori, hanno una pr.ofonda unità organica, che sfugge al lettore poco at– tento e al critico mal prevenuto, e che costituisce il segreto della loro vitalità. Anche i difetti più gravi e comuni a tutti i suoi romanzi, l'eccessiva lunghezza, la prolissità nelle descrizioni, la sovrabbon– danza dei particolari, ·derivano dalla maniera in cui egli li compo– neva, e per quanto possa sembrare un paradoss:o, costituiscono un elemento vitale dell'opera s11a, appunto perché sono un prodotto spon– taneo dell'arte sua. <( Se si tagliasse fuori dall'Iliade o dai drammi di ,Shakespeare», scriveva egli nel recensire l'opera di Jane Austen, « tutto quello che è privo d' importanza e d' interesse per sé, trove– remmo che ciò che rimane avrebbe perduto non pi-Ocola parte del suo fascino ». L' osservazione è giusta e si applica anche allo Scott, per– ché le divagazioni e le prolissità dei suoi romanzi, offrono una specie di riposo, di quiete, alla mente eccitata dall'interesse del racconto. l\Ia _ l'accusa più grave che vien mossa allo ,Scott, è quella di non saper creare dei caratteri, di presentarci i suoi personaggi, per dirla col Carlyle, solo esteriormente, senza mai penetrare nella loro anima. Anche qui e' è un elemento di vero. Scott manca di passione, e non sa darci una fine analisi psicologica della natura umana; concentra tutto il suo interesse nel racconto, e non nei protagonisti, che ci presenta in modo piuttosto sommario. È vero: pure i suoi eroi e le sue eroine ci appaiono ben delineati sullo sfondo storico che dà loro uno speciale risalto; e noi impariamo a conoscerli attraverso le loro gesta, e finiamo con l'amarli, anche perché possiamo ricostruirceli a nostra simpatia. Prendiamo un esempio. Ivanhoe, n~l celebre romanzo che prende il nome dall'eroe, ama Rebecca, la preferisce a ,Rowena, ma sposa que– st'ultima. Un altro autore avrebbe forse scritto interi capitoli per spiegar-ci la crisi psicologica di I vanhoe, la lotta nel suo animo tra l'affetto. e il dovere, e via dicendo. Scott invece si limita a mostrarci come Ivanhoe superi nell' a,zione questo dissidio, che noi intuiamo, se~:izache egli ce ne abbia detto una parola, e lascia che noi si sup– plisca con la nostra fantasia a quello che egli non dice. Non per questo la figura di Ivanhoe ci appare men viva e reale, anzi. Certo S~o\t aveva i suo.i limiti : non sapeva delineare bene una natura fem– ~11:1le,. e non avrebbe mai potuto creare un tipo come Amleto ; ma e riuscito tuttavia ad arricchire la letteratura inglese, e possiamo dire BibliotecaGino Bianco

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