Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932

Sir Walter Scott esercita un influsso immenso sulla letteratura europea. I suoi venti– nove romanzi storici attirano tuttora un numero grandissimo di am– miratori. Questa popolarità che si mantiene attraverso U mutar delle generazioni, è un indice indubitabile della grandezza dello scrittore, e dobbiamo tenerne conto nel valutare l'opera sua da un· punto di vista artistico e letterario . .Scott è grande come romanziere, -ma non è grande come artista, anzi non è un artista affatto, dicono alcuni critìci, tra gli altri lo stesso Stevenson, che pure è. un suo ammira– .tore ed imitatore, perché la trascuratezza dello stile e l' inettitudine nella scelta delle parole, ,sciupano l'effetto artistico della sua narra– zione. Non è un artista, aggiungono altri, tra cui il Bagehot, perché non sa interpretare la natura umana, non riesce a creare grandi ca– ratteri, e non può farlo dato che gli manca la comprensione di due clegli aspetti 1 1iù profondi della nostra vita interiore, l'amore e la re– ligione. Non è un artista, conferma George Moore, il grande roman– ziere irla11.-dese,perché gli manca il senso architettonico, non sa co– struire i suoi romanzi e dar loro una coerenza organica. Non è un artista, sostiene il Borrow, perché cade troppo spesso nel banale, e il suo umorismo è grossolano, urta la nostra sensibilità estetica; e cosi via. Ma se queste critiche sono esatte, vien fatto di -domandarci come si può chiamarlo un grande romanziere, dato che scrive male, non ha gusto, -è confuso nell' intreccio del racconto, manca di passione ed è incapace d' intendere la natura umana ? E come si spiega il suo suc– ·cesso, se gli mancano queste qualità essenziali per ogni scrittore ? Pure è innegabile che queste critiche, singolarmente prese, contengono tutte un elemento di vero., che non basta però a giustificare il giudizio asso– luto che se ne è voluto trarre. Un breve esame -dei difetti sopra ricor– dati, sarà più che sufficiente a chiarire l'errore in cui i c1itici sono caduti. Cominciamo dallo stile. .Scott stesso dice a Lockhart, il suo grande biografo, che « non aveva mai appreso la grammatica » ; la sua prosa è sovente scorretta, sciatta, e diffusa: accumula a volte una quantità· di particolari e di spiegazioni che non lo interessano, in un periodo fa– ticosamente lungo che ,si sa dove comincia, ma non si sa -dove vada a finire. Questa trascuratezza -di stile non si può negare; essa deriva dal fatto che per lui lo scrivere era un processo naturale, non uno sforzo, e nell'ardore della composizione egli si serviva ,spesso della prima frase che gli veniva in !Ilente, anche a costo di offendere l'orecchio e il gusto di un lettore fastidioso. « Se c'è qualcosa di buono nella mia poesia e nella mia prosa», egli scrive nel suo Dj,ario, « è l'a-tl'rettata fran– chezza di composizione, che piace ai soldati, ai marinai, ai giovani d'indole audace e attiva». D'altra parte questo difetto ha i suoi com– pensi: ,se il suo stile è trascurato, è anche semplice e spontaneo, non è mai ricercato e lezioso, e può sollevarsi, a momenti, a una grande altezza,· acquistare forza e intensità drammatica, divenire uno stru– mento perfetto -d'espressione. È questo che i critici dimenticano. Dry– den ha detto dello Shakespeare che egli è sempre grande, quando si presenta una grande occasione. Lo stesso si può dire dello Scott ; nei momenti in cui il dramma culmina, la sua prosa si trasforma, acquista BibliotecaGino Bianco

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