Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932

474 G. 111.. Gatti Pantèa di Màlipiero è un dramma danzato, dove l'interprete esprime figurativamente il suo patire e l'orchestra completa il gesto e lo raf– forza. Il centro dell'opera è sulla scena, perciò, e il valore plastico della danzatrice ha un'importanza grandissima. Purtroppo nella edi– zione recente, - ch'era la prima italiana, - la volonterosa interprete non rius,ci a tutto sottolineare con quell'evidenza e •1uella forza che sarebbero state necessarie, magari a, costo di rinunziare a qual-che atteggiamento di grazia. La musica di Malipiero è fra le sue pi)Ì schiette e generose: fortemente segnata, ricca di contrasti, con poche luci im– provvise sorgenti da gorghi d'ombra fondi, di un'evidenza di figurazione che sembra scolpire e incidere, e non lascia adito alla variazione ed al l'ibòbolo. Masso compatto che procede con un ritmo drammatico stupendo e non s'arresta che alla catastrofe. Per certo questa non è musica da virtuosismi saltatori e coreografici : ma una Wigman vi avrebbe ritrovato i motivi fondamentali dell'arte sua tutta slanci e sùbiti aooasciamenti, sogni e allucinazioni. Ponendo l'opera di Malipiero accanto a quella di Casella nello stesso programma, di certo si è reso il massimo omaggio alla legge della varietà e del contrasto. La Favola di Orfeo dì Casella è linda e chiara come, un bassorilievo, rifinita e levigata come un gruppo canoviano, con qualche :improvvisa apertura di cuore di breve durata. Sulla eccellente riduzione teatrale che della favola del Poliziano ha fatto Corrado Pa– volini, giovandosi delle due redazioni del poema, Casella ha disteso una musica che delle parole si vale come di un'impalcatura per ada– giarvi sopra le sue ghirlande e i suoi festoni -sonori; e per costruirvi le sue impeccabili prospettive. Che sia stata sempre resa piena giustizia alla sottile versificazione ed alla metrica polizianesca, non si può affermare. Certo Casella ha afferrato :i.l senso, il tono di questa rap– presentazione che, come di recente scriveva il De Robertis, « fa pensare ad un melodramma proprio come fu concepito ai suoi primordi, da recitar cantando», ed ha saputo dare all'insieme dello spettacolo quel- 1' impronta di cosa riuscita e di problema risolto (salvo che nel finale, dove l'abilità non ha più sorretto la vacillante fantasia) ch'è il pregio e talora il difetto delle opere caselliane. La Grançeola di Adriano Lualdi è da por.si fra le cose migliori di questo colto musicista, di cui spesso purtro ppo l e nobilissime intenzioni non riescono a concretarsi in viva musica. Il divertente episodio di vita marinaresca si appesantisce a volte nel dialogo troppo 1etterario, ma tutto sommato corre abbastanza svelto alla conclusione. ,Sull'ama– tore vecchio beffato e sulla giovinezza dei novelli sposi cala la tela, dopo un finale di danza di indiscutibile evidenza musicale, che ci fa dimenticare certi inutili particolari della partitura e certe ironie (come 'il richiamò del noto tema degli Ugonotti al momento del complotto fra i due amanti) che non riescono a far corpo con il resto dell'opera. Nell'ultimo spettacolo composto di musiche antiche modernamente riprodotte, la maggior curiosità s'appuntava sulla nuovissima e vetu– stissima Passione, il cui ritrovamento dobbiamo alle ricerche dotte ed amorose di Fernando Liuzzi. (Il resto ci era noto : la Kaffeekantate in BibliotecaGino Bianco

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