Pègaso - anno IV - n. 9 - settembre 1932

302 G. Stuparich zione di pare<>,chiavversari. E l'esser solo contro tutti mi dava un'ebrezza dolce come il piacere di trovarmi con Mirella. Ma uscito dal bagno, vedendola avvolta nel suo accappatoio, un poco tremante e con le labbra violette, nii prend'eva subito una grande tenerezza per lei e avrei voluto quasi proteggerla; ma in mezzo agli altri mi era impossibile avvicinarmi, e poi lei mi respingeva con uno sguardo cattivo. Quello era il momento più malinconico della mia giornata: ripensavo con tristezza alle passate gesta contro gl' isolani, di cui ero stato più volte il capo, e sentivo tutto il peso e la vergogna della mia situazione. Ma rivestiti e ritornati alla villa, rarissime volte avveniva eh' io non incontrassi Mirella o nell'atrio o per le scale o sull'afa dietro la casa: erano incontri fortuiti all'apparenza, ma in realtà ci cer– cavamo. Restàvamo pochi minuti insieme, perché la colazione era pronta. Per lo più Mirella mi mostrava l'ultima cartolina illustrata che suo padre le aveva mandato : ella faceva raccolta di cartoline illustrate e suo padre gliene mandava, una quasi ogni giorno d'ai suoi viaggi. « Stefano, ti piace questa cartolina?>>. La frase aveva per me ogni volta un nuovo significato. Poi, chinati tutti e due sulla cartolina, ridevamo perché erano quasi sempre illustrazioni comiche : scimmiotti vestiti da uomini con gli occhiali; bambini che amoreggiavano sotto un ombrello; o monelli coi vestiti rattoppati di vari colori e con certi cappelloni di traverso, quattro volte più grandi delle loro teste. La treccia di Mirella, umid'a anc6ra del ba– gno, sfiorava la mia guancia; ed io stavo fermo, finché ella non scappava. Ma le ore migliori per noi due erano quelle che precedevano la sera. I villeggianti si d[sperdevano: chi, passato il caldo, andava a fare una passeggiata, chi si recava al molo ad attendere il vapo– retto della sera col quale arrivavano« i mariti>>. La madre di Nello, preparandosi ad andarvi con Nello, invitava anche me; ma io tro– vavo, ora, una scusa per restare.· Restavamo quasi soli in tutto il grande podere: Mirella che aveva il padre in viaggio, ed io che aspettavo il mio soltanto la domenica. Calava una fresca pace: dietro gli alberi rosseggiava il cielo. Mirella ed io correvamo per i viali. Era il modo più leggero d'intenderci: prend'erci per mano e volare, e ridere d'ogni cosa. Alcune volte, arrivati « alla punta», ci sedevamo. Cominciavamo con discorsi molto seri: io le parlavo del mio futuro con una sicurezza che aveva un solo tremore den– tro: quello d'esser beffato dia lei; le dicevo che sarei diventato ca– pitano e le descrivevo la mia nave e i miei viaggi. Ma lei non po– teva rimanere seria lungo tempo; a un dato punto scoppiava a ri– dere: diceva che una mia parola buffa l'aveva fatta ridere; io m'ar– rove~lavo per scoprire quale parola buffa mi fosse sfuggita, e mi sentivo offeso. Lei molte volte si levava le scarpe e le calze, s'al- BibliotecaGino Bianco

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