Pègaso - anno IV - n. 9 - settembre 1932

300 G. Stuparich darmi a casa mia, ché non si assumeva la responsabilità di custo– dire un monellaecio come me. Ero avvilito; anche-Nello m'aveva abbandonato; mi pareva di essere uno di quei brutti cani che tutti cacciano via a sassate. Incontrai Mirella per un vialetto solitario : sollevai di terra un grosso sasso e, porgendoglielo, le dissi: - Ora che m'allontano, gettamelo contro la schiena! - Mirella stette col grosso sasso in mano a guardarmi; feci alcuni passi, aspettando di sentirmelo picchiare nella schiena; niente; mi volsi: Mirella aveva lasciato cadere il sasso ai suoi pied'i. - Non sei anche tu arrab– biata con me? ~ le domandai. Scosse la testa in segno di diniego. Mi parve d'esser liberato di colpo da tutta l'infelicità che mi pe– sava a,ddosso. Alzai gli occhi e vidi a poca distanza, nel campo, una bella pera che nascondeva il suo pallido verde tra le foglie lustre. - È matura, la vuoi ? - le d'issi a distanza, indicandogliela. Mi– rella mi si avvicinò. Ci guardammo intorno: nessuno poteva ve– derci. D'un salto fui nel campo, còn un altro spiccai la pera. Mi– rella ci mise la sua bocca rossa : udii crocchiare il frutto sotto il suo morso; gocciolante di sugo, con la corona dei suoi denti im– pressa nitidamente, me la porse : - È un po' aspra, ma buona. - Finimmo di mangiarla, un morso l'uno, un morso l'altra. Seppel– limmo poi nella terra arata il gambo con alcune foglie che nello strappo m'eran venute giù insieme con la pera. - Hai la bocca sporca di verde, - le dissi quand!o ci drizzammo. Scosse le spalle e protese le labbra come per gu'ard!arsele. Fu quello il secondo bacio che diedi a Mirella: aveva un sapore acidulo di frutto non ben maturo. Come più tardi nella vita sono stato facile a buttarmi da un estremo all'altro; così fin d'a all-Ora che avevo undici anni, mi pa– reva che una volta usciti dalla via retta, piuttosto di camminar sull'orlo, tanto valeva lasciarsi andar giù fino in fond'o per la china. Allora, la via «retta)) era per me la vita dura di battaglie e di forti giuochi che avevo fatta il primo tempo coi miei compagni. La– sciatomi adescare dal piacere che mi procurava la vicinanza di Mi– rella, il bagliore dei suoi occhi e il gusto delle sue labbra, dopo una breve e infruttuosa lotta per liberarmene, m'abbandonai tutto «alle mollezze)). Il sole era già basso sull'orizzonte, che stavo ancora, in qualche angolo nascosto del podere, a giocare coi più accaniti a quelle carte che un tempo avevo tanto disprezzato. Quasi tutti i pomeriggi passavano così; edl io godevo specialmente quando gio– cavano con noi o stavano vicine a noi a guardare il giuoco l'una o l'altra delle_bambine. Fra queste non c'era che assai r~,ramente ~irella; ma c'era quasi sempre la Titi, una ragazzetta bionda, col viso cosparso di lentiggini e con due occhi chiari assonnati: aveva una carnagione bianchissima, che il sole non· riusciva a scurire; BibliotecaGino Bianco

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