Pègaso - anno IV - n. 9 - settembre 1932

298 G. Stuparich calma e all'ombra degli alberi, a far qualche bel giuoco con le carte. « Non scimmiottiamo!>>. Questa magica parola, di cui ero grato a Nico, - il più piccolo e il più fiero di noi, - d'averla pronunciata con enfasi e con sdegno, ci aveva salvato per qualche tempo dalla vero-ogna di asservirci all'esempio dei grandi, i quali ogni sera, ognbuno con la sua bottiglia dli vino, si mettevano sotto il bersò, capotavola il padre di Nello, a giocare alle carte. Il secondo motivo, molto più pericoloso, erano le radunate se– rali delle donne e degli altri uomini che non giocavano alle carte. Si formavano così delle allegre compagnie che giravano per il po– cllereo, il più delle volte, si sdrai·avano sull'erba in qualche radura, sotto lo stellato o, quando c'era, al chiaro di luna: dalle chiac– chiere si passava alle barzellette, dalle barzellette che fa,cevano ridere, ai racconti che facevano battere il cuore e sgranare gli occhi nel buio, dai racconti ai canti e ai cori. L'attrattiva di tali com– pagnie era così forte, che ne sentivo segretamente il fascino anche io, benché cli fuori d'eridessi ((quei miagolii» e chiamassi in di– sparte i miei compagni a· cose ben più serie: a concertare i piani dli guerra per il domani. . Ma forse sotto a questi e ad altri motivi, la vera ragione che ci sedusse al dolce ozio, ragione inconfessata ma tanto 'più fonda e più vera, furono le femmine della nostra età. Ce n'era una bella ghirlanda, tra sorelle e cugine dei nostri compagni. Già più d'una volta qualcuno dei grandi ci aveva rimproverato : - Perché non giocate anche con le bambine ? - Queste ci guardavano con occhi accondliscendenti e invitanti, ma noi eravamo anc6ra selvaggi, il prim0 tempo, e superbi del disprezzo che mostravamo per le gon– nelle. Ma poi, quel sentircele vicine, quei loro squilli di risa che ci giungevano improvvisi mentre faticavamo nelle nostre guerre, le mattine al bagno quando anche senza v-olerlo o sul pontile o nell'acqua c'incontravamo e ci mescolavamo con loro: tutto un po' alla volta concorse a renderci più teneri verso di loro. C'era stata già qualcuna, più audaee, che aveva tentato i primi approcci. Un pomeriggio mentre, di pattuglia con Nico, procedevo cauto per un sentierino alla scoperta del campo avversario (quando non c'erano gl'isolani, pur d'i guerreggiare, dividevamo noi stessi in due campi), un fruscio improvviso di dietro un cespuglio ci arresta spaventati. Io provo già l' umiliante sentimento di chi, uscito per sorprendere, viene invece a sua volta sorpreso; ma davanti a noi è -Mirella : succinta come una piccola Diana, occhi di fuoco e d'ue trecce nere che sembrano le ali d'un casco. - Sono là - ci susurra e ci_ind~ca col braccio nudo, teso, la direzione. - Spi~, - la, investe Nico, mf~ocato dalla rabbia subentrata alla paura. - Taci, - in– t:rvengo 10, - Mirella ci rend'e un servigio; - Mirella mi guarda riconoscente e s'allontana. BibliotecaGino Bianco

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