Pègaso - anno IV - n. 9 - settembre 1932
A. LORI.A, La scuola di ballo 383 ARTUROLoRIA, La scuola di ballo. - « Solaria », Firenze, 1932. L. 12. Dopo Il cie.co e la Bellona (1928), e dopo Fannias Ventosca (1929) ecco Arturo Loria al suo terzo libro di racconti, La scuola di ballo · ed ecco, come la prima volta, gli eccessi del suo rieco ingegno portati e' in– nalzati come un dolce perieolo: gusto del pittoresco e del comporre alla ventura, l'allucinante realtà traditriee del vero, l'illogico sostituito alla felice determinatezza degli scrittori buoni, le intenzioni allegoriche che intricano la pagina. A ogni volume, con costante fedeltà, data la prova del suo raccontare e rappresentare franco, variato di continue immissioni di succo fantastico, par che provi sempre un piacere nuovo a eccitare la sua capricciosa intelligenza, dare nel curioso e nel com– plicato, sfrenarsi in ogni sorta d'improvvisazione, per terminare poi in un particolare o in un'immagine tenuti ìungamente in serbo, insomma preferire al comporre largo la puntuale scrittura dei saggisti tutta percorsa da sottintesi. ' Un racconto deì suo primo volume, Il aieco e la Bellona (ma tutto lavorato su una materia « ad effetto ii), due del secondo, Le sirene, Tra due ponti, due del terzo, Il fratellino, La souola di ballo, possono senz'altro rientrare e fare spicco nel quadro dell'arte narrativa, di– remo così, di tradizione; e vi aggiungerei Il Muratore stanco e La serra, che, con più attenzione e lentezza, sebbene con méno festa, e in una prosa sapientemente dosata, toccano due casi che stanno tra l'allegoria e l'intimismo psicologico, e· ,sono il frutto, impoverito e potenziato nel tempo stesso, di quell'ingegno che s'è detto, il punto d'arrivo di quello sciupio, di quel lusso, impiegato senza risparmio in dieci almeno dei suoi ventitré racconti. Tra i quali dieci, uno certo va segnato quasi totalmente all'attivo di Loria, La tromba, dove quel nulla che è la narrazione, e lo scherzare continuo su una situazione tenuissima, trovano bene il loro compimento· nella chiusa da favola, una favola fanciullesca. Anche se non fosse stato scritto tutto, quanto che per il solo effetto finale, l'equilibrio risulte– rebbe perfetto ugualmente, e rimarrebbe comunque un bell'esempio di come Loria sappia condurre così su un filo una vicenda, farla durare è non perder consistenia. E con La tromba, Il tesoro. Pur com'è complicato, e costantemente ritornante al punto di prima, la satira d'un tratto acquista senso e unità da quell'oro del· sole al. tramonto, che irride in ultimo sulla fame d'oro (oro vero) non potuto scoprire, catena incredibile di mali. L'invenzione vi ha una naturalezza esangue, che nasce dal puro gusto del raccontare; e quando non è altro, ha quasi la facilità d'una filastrocca. Non facilità di scrittura, s'intende, che anzi è tutta intersecata, e rallenta il corso e la naturalità dei fatti. Ma non è qui tutto Loria. La sua volontà, senza che paia, è tesa al– trove, torbida, inquieta, carica direi di senso. E lo vedremo, d'ora in– nanzi, abbracciare il suo tema con troppo impegno, guardare alla realtà con un gusto incostante, accostarlesi e ascoltarla, e subito ritrarsi e inventare per gioco; pure vi porterà un fermento nuovo, e si preparerà l'esperienza liberatrice. Sperimentata che avrà la sua incapacità a trovare quella sapiente ibliotecaGino Bianco
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