Pègaso - anno IV - n. 9 - settembre 1932
382 s. ALERAMO, ll frustino dersi in fantasie e ricordi. Se si incontrano, si estasiano e nell'estasi si dissolvono. Se le figure dunque sono mancate, nel libro resta tuttavia un dono di poesia. Se non sono veri, in un senso artistico, i personaggi, sono vere, e belle, le loro fantasie; se irrilevante è il loro essere, è con– creto il loro immaginare. L'intuito lirico dell' Aleramo, scopre il senso tr,econdito delle cose, del suono e del colore, della luce e del buio, e loro restituisce quella vastità iniziale dell'elemento, integro prima d'es– sere percepito e scomposto. Certe distanze, certe altezze, certe lumi– nose orbite, innalzano, distendono e illuminano una reale corografi_a. Il romanzo ha per teatro Capri ed Anacapri, Napoli e il Golfo, e Sibilla Aleramo descrive questo scenario idealizzandolo, cogliendone, cioè, l'ideale bellezza, per cui le linee sono già di per sé, armoniche e vive. Queste descrizioni quintessenziate, impressioni rare e sensazioni acute, affiorano, nel Frustino, quasi dal fondo d'ogni pagina: e mal ·si legano col piano logico e ideologico del romanzo. Da questo contrasto nasce, e tosto s'avverte, uno squilibrio stilistico. Mentre le pagine più decisamente liriche si sostengono per la forza stessa della ispirazione, che le ha dettate, le altre, e son le più, nelle quali dovrebbe praticamente attuarsi l'azione, e quindi la vita del racconto, per la insufficienza di questa, restano vane e verbose; e si direbbero derivate èlal deteriore D'Annunzio. Accentuano questa impressione i. nomi' di alcuni per,so– naggi, certi loro atteggiamenti estatici, a volte, come Narcissi, davanti alla loro immagine morale, e le incongruenze delle situazioni psicologi– che, che non hanno un'intima ragione, eppur una qualunque devono adot– tarne. Mino Vergili sembra a volte uno Stelio E:ffrena in sedicesimo. Ma, oltre l'elemento lirico, genuino, c'è nel Frustino una preci,sa in– tuizione delle figure minori. Non tocche o sconvolte da passioni più grandi cli loro, esse raggiungono in pieno la loro essenza umana, ed appaiono nettamente disegnate nella fisionomia e nel carattere. Il pa– dre di Caris di Rosia, ad esempio: « Pros,simo ai settant'anni, s'era ri– tirato da poco su quella cima d'isola: ancora un giardino da coltivare, ancora dei gatti con cui scherzare, ancora qualche giovine serva con la quale coricarsiii. E quella giovine amica, che Caris va una volta a vi– sitare, la Giulia, sebbene passi, cosi per incidenza, nel racconto, .pure rimane impressa assai più di certi personaggi di primo piano. « Il giub– betto di lana •verde che Giulia indossava era aperto sul petto tutto venato stranamente come da alghe azzurre, magrissimo, ma con i pic– coli seni gonfi di latte i>; e più oltre: « Mise sulle spalle una mantel– luocia bigia. Qualimque cencio le stava bene, tanto era fine e bella». E la figura ha una grande evidenza, sommamente poetica in quella sua aria di gaia, e quasi aerea, miseria. Non privo, dunque, di cose belle, a questo romanzo dell' Aleramo è mancata quella sintesi che componesse armonicamente i vari elementi nell'unità di uno svolgimento. Nel Frustino per il rapido disgregarsi dell'azione, le cose stanno ciascuna per sé,' e se una forza hanno, è ~entrifuga, individualista. Il lettore attende sempre che abbia inizio 11 romanzo, quello vero, dell'enigmatica e pure verbosa protagonista.. E quando pare che il romanzo stia per cominciare, il libro è finito. GLAUCO NATOLI. BibliotecaGino Bianco
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