Pègaso - anno IV - n. 9 - settembre 1932
A. B.A.ILLY, Jules Oésar 371 politica meglio elaborata, il centro predestinato della nazione futura. E Cesare, senza far parola, sans rien dire, confiscò la libertà della Gal– lia. Il bello è che lo stesso Jullian irufirma la sua tesi, senza avveder– sene, proprio nel capitolo finale del suo V ercingétorim: dove si vede la Gallia diventar romana in pochi anni, volentieri e sans rien dire. Tutt'altro è il tono del Bailly: « nous datons de Oésar et de sa oonqu-ete ». Che cosa ci sia stato prima di Cesare, egli non si trattiene a cercare. Ragionevolmente, egli ammette che il quadro che Cesare fa della Gallia possa essere incompleto e erroneo, per difetto di informa– zioni; ma nella sostanza lo accetta. Cesare non dà indizio di orgoglio o di mala fede, nella sua descrizione: la sua intelligenza è sempre lu– cida, la sua serenità costante. Quello che in Gallia lo offende non è la primitività dei costumi, ma la mancanza di compattezza morale, l'in– stabilità, dell'equilibrio politico, sempre minacciato dall'intrecciarsi e dal dissolversi d\ alleanze nuove. Non c'è patriottismo, né sentimento nazionale, altro che precario; l'unico vincolo sicuro, l'unico germe di un sentimento collettivo è la religione. Nel caos politico, solo i druidi ·rappresentano un pensiero centrale, una tradizione, una autorità non scossa dal capriccio delle alleanze, un abbozzo di unità spirituale. Non l'impero degli Arverni, ma la teocrazia dei druidi: ecco ciò che vi era di più solido in Gallia. Come si comportò Cesare verso i druidi ? In realtà non sappiamo; ma mi sarebbe piaciuto che il Bailly avesse av– vertito il problema, che è tale da non potersi evitare, anche se in pra– tica irresolubile. Il Jullian lo aveva posto. Cesare non è il conquistatore freddo, il colonizzatore violento, il machiavellico giuocator di bussolotti che il Jullian sembra essersi raffi– gurato nella frase più sopra citata. « Per i popoli che si apparecchiava a conquistare, dice il Bailly, Cesare non provava, e la cosa è evidente, ché stima e simpatia)). La sua ostilità era solo contro i germani, anzi il suo sogno era di una compagine gallo-romana contro i barbari d'oltre Reno. Se conquista la Gallia, non è che eserciti violenza sulla libertà di un popolo : la Gallia, con le sue divisioni e i suoi partiti, con le sue frontiere aperte verso oriente, era fatalmente condannata a essere con-_ quistata, o dai germani o dai romani. Le resistenze, le coalizioni, le ri– volte sono fatti sporadici, determinati non da una grande idea comune ma da interessi determinati. Tra le due conquiste possibili, era naturale che i capi più intelligenti si volgessero a un protettorato benevolo e onorevole, come era quello che veniva loro offerto da un generale cosi · umano e pieno di maestà. Considerazioni di buon senso, dice modesta– mente il Bailly; le quali hanno tanto più valore in quanto che egli, nella sua ammirazione per Cesare, non giudica poi a occhi chiusi : e suppone per esempio, né si può dargli torto, che la conquista sia stata predispdsta e aiutata -da tutto un servizio segreto, emissari, osservatori, anche spie, del quale naturalmente nel De bello gallico non si fa parola. Anche l' ep1sodio di Vercingetorige è ricondotto nei suoi giusti confini, che sono grandiosi: e grandiosi li ha disegnati Cesare; appunto perciò è inutile esagerarli. Verdngetorige era un capo, ~ sapeva quel che voleva; ma una nazione dietro di lui non c'era. Quando tratta della sua resa a Cesare, il Bailly non solo si tiene ben lontano dalla descri- jbliotecaGino Bianco
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