Pègaso - anno IV - n. 8 - agosto 1932

204 V. G. Rossi • col pensiero alla letizia prossima, si stira-no e sbadigliano. Quelli che dormono giù nelle cuccette, non odono la campana, ma i sei rintocchi passano come una mano leggera leggera sulla durezza del sonno, e il sonno per un momento si fa lieve, quasi trasparente, come negli attimi che precedono il risveglio. Se qualcuno è desto e li odè, pensa con rabbia che fra un'ora dovrà alzarsi, maledice l'in– giustizia della vita, la miseria, il mestiere, e poi si rinsacca di fu– ria nelle coperte, spaventato di trovarsi con gli occhi aperti, men– tre il tempo fugge e gli ruba il sonno. Torno a sedermi accanto alle gambe di Scandorza, mi metto a pensare alla cuccetta : alla cuccetta con le coperte di lana grezza, color di tabacco, così dure e spinose che sembrano fatte d'i fil di ferro; con lo strapuntino di foglie di granturco, massiccio, come di cemento, che porta impressa la sagoma di un ·corpo d'uomo, forse del primo che vi ha dormito sopra, e nei primi tempi quanto m'era difficile far combinare la forma del mio corpo con la forma incavata nel compatto strato di foglie di granturco! Penso alla cuccetta, e sento che l'onda del sonno sale, sta per travolgermi. Allora cerco di salvarmi parlando: mi afferro alle parole come a una tavola di salvezza, ma con Scandorza non c'è verso d'attaccar discorso. - Scandorza, vi ha scritto vostra moglie? ... Con un gorgoglio di poppante avido, ' Scand'orza traghetta la cicca da una sponda all'altra della bocca, stacca una mano dalla ruota del timone, passa con un movimento circolare la grossa mano sulle gote e sul mento, sulla barba dura e ispida che rade una volta ..., la settimana, grugnisce: il grugnito, catarroso, a scatti, conclude il discorso che Scandorza ha fatto nella sua testa,. Un'ombra scorre lungo la murata, s'avvicina. Mi stropiccio gli òcchi: l'ombra s'è fermata a ·un passo da Scandorza e da me, l'om– bra parla: - Buona notte, nostromo. È Fidardo. Attaccata alla sua ombra, un'altra ce n'è, dietro a lui: una cosa biancastra, posata sulla <!-operta,legata a una sfilac– cia di cui Fidard'o ha un'es,tremità avvolta intorno al pugno. Un sentore fetido si spande nell'aria: .©h, è il lardo, il lardo di Mè– nelicche. Fidardo alza una mano : nella .mano stringe per il collo una bottiglia: è 'l'acquavite di Menelicche. Se Menelicche vien su, siamo fritti. - Un sorso, nostromo ? L'acquavite fa bene, ai vecchi. Scandorza non apre bocca: mi pare uno che ha sentito un muro della casa scricchiolare e creparsi, e lui non si può muovere. Sta con gli orecchi tesi, in ascolto : l'ombra di Menelicche deve agi– tarsi dinanzi a lui. Fidardo stura la bòttiglia, beve: l'aroma acuto dell'acquavite BibliotecaGino Bianco

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