Pègaso - anno IV - n. 8 - agosto 1932

Oapitan Menelicche 203 sguardo inferocito su noi, stette come sospeso tra il dolore per la perdita della bottiglia e la vergogna che fossero stati scoperti i suoi occulti colloqui con l'acquavite. Ora si fa innanzi: ansima, è strozzato da un nod'o di convulso ha gli occhi sbarrati, vitrei, terribili. Ci scansiamo. Abbranca Fi~ dardo per le braccia, lo scuote rabbiosamente, con furia disperata, sentendo che contro quel tronco massiccio poco vale la sua forza di vecchio tarlato. - Sei stato tu ! Confessa ! Tu sei stato : tu, tu ! Brigante, ladro ! Strideva, sfriggeva, divorato dalla collrra. Fidard'o, calmo, con un ghigno freddo, irrisore, provocant~; si scrollò di dosso le mani di Menelicche, lo respinse, lo addossò allo stipite della porta. - Ohi, dfoo : siete matto ? Pensate a quello che dite ! A me, mi dovete portar rispetto, sapete ? Poi si fece largo, si rialzò i calzoni, .strinse intorno alla vita la cigna di cuoio fitta di teste quadlrate e lustre di chiodi d'ottone, :fieramente s'allontanò: senza fretta, perché la fretta lascia sup– porre la colpa. La sua faccià non si vedeva, ma il riso sembrava raggiargli in– torno ·alla testa. « È lui» pensammo; e ci parve sublime. Notte. Una grande chiarità lunare; le acque luminose. fosfo– rescenti ; la luna colma tonda enorme glaciale ; un vento. agile e fresco ; le ombre delle vele che scorrono sul mare come un velluto nero; gli alberi che sembrano toccare le stelle; una macchia scura sulla purità dell'orizzonte: forse un'isola. Scandorza guarda l'orologio alla luce smorta che trapela dalla bussola: - Le tre. Va' a battere. Le tre. L'ora lirica del letto, l'ora dolce in cui il mondo appare come un letto immenso morbido e tepido, le nuvole in cielo come bracciate cumuli montagne di lana dia far materasse e guanciali. Anche l'acqua che fa ciac) c,iac ciac contro la prora, mollemente, pare un istrumento che suoni in sordina per blandire il sonno : una musica tenue sommessa infinita. E la testa mi ciondola, mi pesa : le stelle in cielo si spengono, si riaccendono. Scandorza ripete, brusco: · - Va' a battere! Nell'alzarmi per andare a battere la campana, le gambe mi si afflosciano : mi aggrappo a due mani a una gamba di Scandorza, che alla stretta improvvisa mugola mezzo spaurito, come se lo avessero tirato le streghe. Sei rintocchi di campana: le tre. Quelli che sono in piedi, di guardia, e odono i sei rintocchi, pensano: « Anc6ra un'ora», vanno BiblìotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy