Pègaso - anno IV - n. 8 - agosto 1932

Oapitan Menelicche 199 Io av~vo d_alla ~ducia· ~i Menelicche l'inc3;rico più pericoloso: dovevo riempire d acqua il fiasco, alla pompa. Lui lavorava al chiuso, io lavoravo allo scoperto. La pompa era fuori· e fuori l'aria odorava di scapaccioni. Fidard'o una volta aveva detto : - Se ti piglio sul fatto, butto in mare te e il fiasco. Preso il fiasco, uscivo cautamente dalla gabina dli Menelicche ' mi guardavo attorno, fiutavo l'aria: nessuno? Allora in due salti, il fiasco dietro la schiena, mi avvicinavo alla pompa. Qui veniva il brutto, il momento scabroso dell'operazione. La pompa era rugginosa, i cuoi dello stantuffo erano consumati : soltanto dopo tre o quattro pompate energiche·, la pompa bÙttava. Ma a ogni pompata a vuoto, la pompa emetteva un lungo raglio, che si udiva da per tutto. Provavo a pompare pian piano, e l'acqua non veniva; davo al– lora una scarica di colpi disperati, alla lesta, e il getto d'acqua balzava largo e violento, .si spargeva per la coperta, m'inzuppava camicia e calzoni, e finita la cateratta, il fiasco era vuoto. Riprova; -e quei maledetti ragli sembravano salire al cielo. Riempito il fiasco, scappavo al riparo nella gabina di Menelicche. Travasata a tazzine l'acqua dal fiasco nella brocca senza manico dove già aveva versato il vino, Menelicche agitava la brocca per far mescolanza, poi porgeva, diceva solenne : - Porta in tavola. Come comparivo con la brocca retta di sotto con le due mani 3 guisa d'un'urna sacra, un brontolio dapprima, poi ùn urlo cre– scente mi accoglieva : - Guardalo lì, il vigliacco che gli tien mano ! Ma poi, spartito il vino, c'era sempre chi risciacquavà la brocca e beveva la risciacquatura. Un giorno accadde una catastrofe. La minestra emanava un tanfo nauseante : assaggiata, inaspriva la gola, rivoltava lo sto– ~o. . Uno prese la scodella piena e la scagliò contro la paratia. Fu come un segnale: grida, Jirli, colpi: uno schiamazzo da matti. Ohi vociava, chi bestemmiava, chi batteva col cucchiaio sulle scodelle -di ferro stagnato, chi picchiava le mani in cadenza per fare accom– pagnamento allo strepito, chi, nemico delle parole grosse e della buona musica, menava pugni da orbo sulla tavola, facendo trabal– zare e tinnire posate e stoviglie. Scandorza, il nostromo, mite e pa– ziente, si alzò e uscì borbottando : - Qui finisce a botte. S'affacciò il cuoco: la testa calva del cuoco bistrò un attimo nel vano della -porta, sparì: dietro volarono forchette, coltelli, pezzi -di galletta. Bibl.iotecaGino Bianco

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