Pègaso - anno IV - n. 8 - agosto 1932
Bilancio garibaldino 163 in quei giorni il garibaldinismo avendo una rea,le forza propria .e una incalcolabile forza di attrazione. Egli, che già l'anno prima, frèmendo, aveva «obbedito)), comprendeva ora, con intuizione ge– niale, che l'unità italiana, già in moto, richiedeva, a compiersi, altre vie e altri uomini. Uomini che non amava, ma di cui sentiva la superiorità; vie che egli non avrebbe mai battute, ma che rico– nosceva come le sole da seguirsi. Se, negli anni successivi, Aspro– monte e Mentana lo ricondussero all'audacia di Quarto, fu preci– samente perché il compimento di quella unità, che senza Roma sarebbe stata sempre incompleta, non si verificava con il rapido ritmo che egli aveva intuito nel '60. Già t,ulla soglia della vec– chiezza, egli aveva la legittima impazienza d'i veder compiuto il sogno di tutta la sua vita: un sogno divenuto in gran parte realtà per opera sua. Ecco il Garibaldi che. bisogna ricercare, e non soltanto negli av– venimenti del '60; ecco il Garibaldi che non apparisce anc6ra bene, - salvo le poche e note eccezfoni, - d'alla selvà selvaggia della mediocre letteratura garibaldina. A fomentare la quale han con– tribuito la personalità stessa di -Garibaldi, il modo•come egli attuò la sua missione di liberatore_, i casi avventurosi della giovinezza e il loro pittoresco scenario oltremarino, le- gesta: della possente ma– turità e anche le generose intemperanze della vecchiezza. Il fatto che, nella trinità del Risorgimento, egli rappresentò l'uomo del– l'azione pratica, a contatto diretto con la· folla d~i combattenti, mentre Cavour, con i suoi occhiali di pacifico borghese, rimaneva velato dal « segreto di gabinetto)), e Mazzini si circondava sempre più di un mistero quasi divino: questo fatto stesso, come doveva rendere Garibaldi popolarissimo fra gl'italiani, che lo seguivano come allucinati d'a un sole, e anche fra gli stranieri, così doveva farlo centro di tutta una letteratura, che bada più al movimento e al colore che non all'intima sostanza dei fatti. Ma v'è anche un'altra ragione che ha potentemente contribuito al perpetuarsi della cattiva, o per lo meno della inutile letteratura garibaldina, e alla mancanza di studi seri e profond'i, atti a de– finire, senza dubbi e tentennamenti, la posizione di Garibaldi nella storia dell'unità italiana, così com'è oramai definita quella di Vit– torio Emanuele, di Cavour e di Ma,zzini. La ragione è così delicata, è così, direi, pericolosa, che se qualcuno l'ha per avventura ricer– cata e trovata, nessuno, ch'io sappia, ha creduto di mostrarla e discuterla. Non dico che ci voglia molto coraggio a dichiarare una cosa di tale semplicità, tanto è vero che io la dichiaro con la ferma persuasione che non sto compiend'o un atto eroico, né che mi at– tenda il rogo per la -mia audacia; tuttavia è un fatto che certe cose si preferisce non dirle, sia per quell'amore al quieto vivere che BibliotecaGino Bianco
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