Pègaso - anno IV - n. 8 - agosto 1932
252 G. O.A. VICCHIOLT, Le nozze di Figaro nella faocina raggrinzita e negli oochietti cilestri. Quando parla la scuote un tremito, e le ballano intorno al volto, come due api, i lunghi pendenti d'oro .... A uu certo punto si mette a correre, sfiorando l'erba, c.ome una strega .. Ci si aspetta che le .si gonfi la sottana, che voli via». Poi, al momento di farle parlare, mette loro in bocca _un corposo discor,sivo, tutto pause e risonanze : « ,Si capisce che non vi posso mica scomunicare, se non lo prendete! Ma che figura! Perché non avete l'intenzione ? E chi volete aspettare, alla vostra età, ché siete matura come una zucca da porci! Eh, rispondete, perché non avete l'intenzione? ... ». Il dialogo gli riesce decisamente naturalistico : « - Perché, dico, se si mette al mondo dei figli, dopo, bisogna fare per loro quello che si può ; io, al– meno, la penso così. Voi conoscete Martino .... - Lo conosco. - Che cosa ne dite ? - Pe.r quello che lo conos-00, è un buon ragazzo. -- Se è buono? Una pecora. Mai all'osteria. Casa e chiesa. E lavoro .... ». Si di– rebbe che il Cavicchioli narri in una sorta di film falsato dal dubbing per tutta l'estensione dell'elemento parlato. E occorrerebbe dedurne che gli manca la possibilità di far parlare e, anche pensare, -cioè interiormente agire, le sue creature; se sul filo visivo della narrazion_e non cozzassero allo stesso modo immagini cli delicato acquarello contro immagini ùi rustica terracotta. Acquarello : « La s,tirada bianca, lunga, larga, prende tutto il .sole stesa fra i campi grigi della prima primavera, dove il verde delicato sembra lì per volar via come un vapore». Terracotta: « Con– tento che Marco pigliasse ·così in buona il difetto di M'artino, Fioravante si lasciò cadere lo sputo nero di cicca fra i piedi, e si tirò indietro il cappello>). In altri termini, Jules Renard e Lemmonjo Boreo (che erano più evidenti in un altro volume del Oavicchioli, tutto di novelle, La morte nel pollaio). E questo perché il Gaviochioli intende risolutamente condurre quel suo nativo gusto georgico sulle posizioni conquistate da tutta la letteratura nel genere. Mentre bas,terebbe ch'egli volesse meno. E darebbe assai di più. Le forze poetiche del Cavicchioli sono tali da cogliere, secondo quel gusto, il colore di una giornata di primavera, l'aria di un momento formo di vita, l'incanto esterno o il motivo di un modo di vivere. Per-ciò riesce meglio in certe novelle come Pane nostro, Amioizia con l'albero, Tempo di viole, dove la voluta rappresentazione sfuma in termini evocativi dà prosai'lirica. Un pa,sso più in là toccherebbe il tono del poemetto in prosa. In Pane nostro, a,d esempio, manca per poco a farci sentire davvero l'odore del forno, l'aria della mattina presto. E La morte della gatta, cosa delicata, per me la migliore del libro, non per nulla ricorda Oanary della Mansfield. E~ se in queste cose il- Gavicchioli non giunge proprio a fondo è per il suo ostinato muoversi su piani narrativi. A me sembra che i motivi naturisti di P(l/fl,e, nostro, o La morte della gatta, i più profondi da lui sfiorati, gli frutterebbero meglio se portati sul piano di Nozze di Figaro, Burattini, Città della Fenice, clie sono in chiave di rifles– ~one sai~gistica. Mi sembra che il suo tono giusto sia commemorativo, r1cordativo. E del resto ha troppe corde in vibrazione. Ha tentazioni mo– ralistiche1 culturali, cui non ·sa resistere, .e un continuo bisogno della nota favolosamente libresca: « era j1 tempo che ' bevevo vino e leggevo Anacreonte' per dirla con Edgardo Poe)); talvolta, in pieno bozzetto, del commento estetico addirittura: «usci-d'impeto, tragico, bello, con BibliotecaGino Bianco
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