Pègaso - anno IV - n. 8 - agosto 1932

248 s. QUASIMODO, Oboè sommerso Versi, com'è facile avvertire, da leggere a, piena voce, con un piaéere che tutte le volte par contraddire, nella sua conteintezza, quel che di corroso è alla radice di questa poesia, e nel punto s.tt ::ssodell'ispirazione. Se. cosi non fosse, come si spiegherebbero, nella formazione tormen– tata ,di Quasimodo, certi « ritardi ii nel riprodurre, con un gusto sem– pre troppo pronto, gli effetti più disparati, da Pascoli, per esempio, e dai poeti futuristi, da Gozzano e da Ungaretti e da Montale e da altri? Pascoli: e quella sua meraviglia, quèl senso costante di tutto nuovo, quell'inaspettato del gioco sintattico, quel realismo verbale in funzione di lirica. I futuristi: e la libertà del comporre distante:, una facilità di , potenza, alla ventura. Gozzano: e un che di smaltato, e limitato, nel verso. Ungaretti: e quella sua voce ripiegata e dolente. Montale: e il suo squallido as,serire. Passino le imitazioni da Pascoli e dai futuristi e da Gozzano, gio– vanili tanto e tanto poco impegnative, un puro esercizio; ma il contatto con la poesia di Ungaretti e di Montale tradis~e in pieno lo sdoppia– mento tra una sofferenza ,s,ia pure d'epidermide e una letteraria com– piacenza e lentezza. A certe affermazioni patite e superbe come potrebbe, il lettore che sa, -aderire mai ? Quelle affermazioni gli diventano di mano in mano non una cosa viva, ma il catalogo, per eccellenza, delle scon– tentezze. Ascoltiamo. - La sua voce: « dolore più dolore del suo gergo di zingaro ii ; il suo verso: « tolto dall'abisso con pianto di disperso JJ ; il suo canto: « di– ruto ii e che « ha amato sempre il deserto ii ; il suo male : aver « crocifisso il sonno ii ; il suo cuore : « secco e dolente ii « arato ii « brucato dal pa– tire ii ; la sua realtà trista : un « albero malnato ii e, più squallida– mente, un « fos,sile emer,so da uno stanco flutto ii ; il suo destino : « coi macigni e l'erbe ii esser fitto in « orbite ,segrete ii; il suo compenso solo: « patire un nascimento d'accorate letizie ii. - Sarà ,sempre ricordo d'altri, d'altra poesia; ma, meglio che queste espressioni grandi frammentate, queste voci superbe, questo crudele proposito di consegnare la propria tristezza in tante definizioni, meglio una ,strofa come la seguente : La sera è. qui; venuta ultima, uno stra:,;io d'albatri; il greto ha tonfi, su la foce, 31IIlari, contagio d'a<lfi,uedesolate. Parole, accenti, c::1denze,desolatezza tutto è di Montale; ma c'è un pia– cere esterno del ricalco. E Quasimodò è capace di esercitare a vuoto la •sua destrezza verbale, con una finzione di profondi sensi che diventano nonsensi: ' Un òboe gelido risillaba (gioia di foglie perenni, non mie, e smemora. . Se dunque la sua po_esi3: s'ha da aocostarla a quella ,di Ossi di seppia, ? 1 sogna_saperla avvertire m uno ,smorzamento di quel tono perentorio m un dlssanguamento, direi, di quel male. Tornano certo qui cose note'. J3ibliotecaGino Bianco

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