Pègaso - anno IV - n. 8 - agosto 1932

A. P ANZINI, La sventurata Irminda 243 re~za. Ri~o!verli, è altr~ facce,nda; e,. ,finché c'è un Papa, non tocca a lm, Panz1m, sobbarcarsi a COSil grave impresa. A lui basta fa.r avvertiti gli uomini clel .suo tempo che il problema esiste sempre anche se le audaci mode femminili e gli allegri costumi dei due sessi 'io dànno per superato. E in ciò ,finalmente, oltre che nell'amore dell'aurea rnediocri– tas, è tutta la sua saggezza. Una saggezza,-che, per il profondo pessimismo di cui s'alimenta e l'in– dulgente sorriso in cui s'esprime, fa pensare spesso 11 Montaigne; ma in qualche punto pare addirittura derivare dagli Essais forma ed accento. Quando si legge che la virtù sincera « è pur essa amabile, e brilla di una sua malinconia diafana ed accostevole », come non ricordare, benché il pensiero sia diverso, la rappresentazione stupenda che della virtù fa il grande francese ? « La vertu n'est pas, comme dit l'.eschole, plantée à la teste d'un mont coupé, rabotteux et inaccessible. Ceux qui l'ont appro– chée, la tiennent, . au rebours, logée dans une belle plaine fertile et fleurissante >>, a cui si può giungere per vie deliziose « d'une pante facile et polie, comme est celle des voutes celestes ». Le parole (di Panzini) che ho citato si riferiscono a ·un ricordo di fan– ciullezza, reso dallo scrittore con una freschezza e una gentilezza incan– tevoli. Il piocolo Panzini era in quarta ginna;sio, e aveva per professore un pretone con « due g ambe d a gladiatore» e « un gran naso infiam– mato». Una volta eostui dà.ai suoi scolari .da commentare per iscritto la favola di Ercole al b ivio .... « A me avvenne di esprimere l'opinione che Ercole avrebbe fatto bene, già che era giovane, a seguire la dama tenerina chiamata Voluttà, riservando all'età matura di ,consacrarsi pa– ladino dell'altra dama chiwmata Virtù». Il buon pretone apprezzò molto il compito del suo discepolo, nonostante l'eterodossia del commento; ma quanto più lo possiamo apprezzar noi, oggi, che vi .scopriamo dentro il germe del futuro umorista, e veniamo a conoscere un Panzini di· quattor– dici anni già cosi Panzini ! In particolare, il libro della Sv-ent,urata lr– minda si direbbe inchiuso virtualmente in quel compito; né pare impro– babile che, se esso s'è or ora attuato, l'impu1so sia venuto proprio dal ricordo di quella curiosa .avventura scolastica. Di simili ricordi è intessuto tutto il primo capitolo; che occupa una quarantina di pagine, ed è bellissimo. Una gioia, ritrovare il nostro grande Panzini dei bei giorni della La·ntr-rria e di 8ant·ìvpe ! Scorre, sotto sotto, una vena di commozione nostalgica, che non si mostra mai, ma riscalda e anima ogni parola; come quel tepido rivo sotterraneo che, d'inverno, fa ::fiorire le viole, in una poesia del molto caro al Panzini Giovanni Pascoli. Ad ora ad ora, un di quei sussulti che annunciano l'im– provviso affiora,re nella frase d'una verità non mai detta prim,a da al– cuno ( « quando si colpisce il vero, è come quando si tocca un nervo: qualcosa palpita», dke Panzini stesso, proprio in questo libro); poi la, pagina torna uguale, dimessa e dignitosa, familiare e letteraria, com– mossa e sorridente, bene equilibrata tra; gli estremi, autenticamente umo~ ristica. (Uno stile che potrebbe anc6ra ricordare, da lontano, Montaigne: « j'ay naturellement un style comique et privé »). Nei capitoli seguenti c'è, come dicevo, un po' di tutto; ml=tun motivo di ispirazione cosi genuino e fecondo come il ricordo degli anni di scuola a Venezia non si trorn più. Il gusto della digressione qua e là diventa BibliotecaGino Bianco

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