Pègaso - anno IV - n. 8 - agosto 1932
A. ALEARDI, Le più belle pagine o la battaglia più cruenta: .... un fiero . Tumultuar d'armati e di cavalli Che _urlando irrompe da la porta, scuote Quegl'infelici che pareano morti Al par del morto .... 239 il quadro appare sempre composito, con quella precisione .stilistica in cui entrano tutti gli elementi di rito. Sopra, la donna e il verone, il pro– fumo e il giardino, elementi staccati che non .si concretano nella figura oontrale, la· donna, che rimane solo « non mortale creatura», e nul– l'altro sa trovare per lei il poeta, se non la dieresi; e sotto, altra sugge– stione leopardiana, quel « tumultuar d'armati e di ca-valli», espressione generica, per sé, ma resa concreta, in certo qual moùo, dalla reminiscenza del « :fluttuar di fanti e di cavalli», in cui, con quel verbo, «:fluttuar», così mobile e tronco che pare impennato, il Leopardi ha dato alla scena quella vita che manca nel frammento aleardiano. Né è esente l'Arnalda dalle leziosaggini proprie dell' Aleardi. Ad esempio, tra l'altro, il dantesco« biondo era e bello e di gentile aspetto,,, ricorre, mutatis rr111dandis, già ridotto a vuota formula, anche nell' Ar– nalda, come riapparirà, l'anno seguente, in quei versi, ormai famosi, del Monte Oirc_ello, per Corradino. Nell'Arnalda sono per un « cavalier d'Arabia», il « prode Assano• >>, e sono indubbiamente stucchevoli : Bello era, e generoso, era proscritto 1Ddinfelice, e mi richiese amore. E non ma,nca neppure, infine, nell'Arnalda la scena ad effetto, pre– diletta ai minori romantici, in cui il capo del genitore o dell'amato, - dalla Cena d'Alboino del Prati alla Salomé di Oscar Wilde, con va– riazioni dovute più al singolo temperamento che a vere ragioni di poe– sia, - fa la sua comparsa, sul carattel'istic.o piatto o <<bacile» velato. Qui, nell' Aleardi, la testa di Nello «sanguinolenta», dopo l'orribile carneficina a cui ci è toccato d'assistere, ci fa, mediocremente inorri– dire. Piuttosto, alla chiusa di questo truculento episodio, ci piace di trovare, per nostro riposo, una immagine bellissima: dopo il tremendo scoppio, da cui è distrutta la nave dell' « arabo vincitore», la fantasia sconvolta del poeta leva l'occhio su tanta rovina. Ed ecco: .... lacere l'onde S'allontanilr in spumeggianti giri. E il poemetto è virtualmente finito qui, con questo senso di vastità dilagante sull'umana sciagura. Quel « Tutto passò», con cui si inizia, la conclusione, ha un sapore d'inopportuno commento, e la ·fine stessa, sdolcinata, è un pezzo cli bravura, inespressivo e superfluo. Questo esame, fatto non a caso, sull'Arnalda di Roca, perché già in questo poemetto son tutti gli elementi che svolgerà l' Aleardi nella sua produzione ult&·ior-e, si potrebbe ripet~re, e forse con gli stessi ri- BibliotecaGino Bianco
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy