Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932

46 L. Salvatorell-i Napoleone aveva scritto nel 1814, che avrebbe preferito gli sgoz– zassero il figlio a vederlo educato a Vienna come un principe au– striaco : frase, che, pur esprimendo un sentimento sincero, appa– risce tuttavia alquanto enfatica, di fronte alla recente premura di lui pe'r accasarsi con una Absburgo e prender rango tra le vec– chie famiglie sovrane d'Europa. Quel eh' egli aveva deprecato per il figlio, si verificò: questi era divenuto un principe austriac~, e neppure principe sovrano, neppure arciduca imperiale. Ma chi, prima di ogni altro, ce l'aveva ridotto? Il padre stesso, non con– cludendo la pace nel 1813 o nel 1814, quando anc6ra era in tempo. La stessa Francia nei confini del 1790, quella che avrebbe potuto ottenere fin nel marzo 1814 al congresso di Ohàtillon, era forse difficilmente compatibile con la permanenza sul trono di lui, Na– poleone il conquistatore; ma poteva ben convenire al figlio, come poi convenne ai Borooni. Rimaneva sempre come ragion d'essere della dinastia napoleonica il mantenimento del nuovo ordine sorto dalla Rivoluzione (abolizione dei privilegi di classe, uguaglianza civile e politica, la nuova proprietà sorta dalla vendita dei beni nazionali, la libertà religiosa, la rappresentanza e sovranità del popolo), di fronte ai Borboni, che rappresentavano l' Ancien Ré– gime, o almeno il timore del ritorno ad esso. ·n tentativo, che Na– poleone fece vanamente nei Cento giorni per intendersi coll'Eu– ropa su queste basi, avrebbe dovuto farlo già l'anno precèdente, a pro del figlio se non di se stesso. Allora, invece, egli vibrò alla causa del figlio il colpo decisivo, ordinando colla lettera fatale del 16 marzo, che Maria Luisa e il re ·di Roma abbandonassero Pa– rigi, quando questa fosse in pericolo: ciò che permise alla fazione borbonica, una volta Parigi capitolata, di trovare il terreno sgom– bro. Inutile, dopo questo, imprecare agli intrighi di Talleyrand, - che aveva consigliato la permanenza nella capitale dell'impera– trice e del figlio, - e alla defezione di Marmont. Napoleone mede– simo, cumulando errori su ·errori, aveva scavato la fossa alla dinastia. Il « destino di Astianatte », - per servirci anc6ra di una espres– sione napoleonica, - è certo assai triste. Ma è anche vero, che non si poteva pretendere da Pino, che ricostruisse Troia e vi riportasse a regnare il figlio di Ettore. Francesco Id' Austria e il suo cancel– liere Metternich si trovarono in posizione di necessità. Pel' ren– dere innocuo il bonapartismo occorreva sequestrare il figlio di Na– poleone, e anche, nella misura, del possibile, sfrancesizzarlo. Il silenzio (che non deve intendersi assoluto : si cercava di parlarne il meno possibile) fatto nei primi anni intorno al padre, la lonta– nanza dalla madre, governante a Parma, il congedo successivo ai familiari francesi dell'ex-re di Roma, dalla gorernante madama di 1 Montesquiou, - « Maman Quiou », - alla « berceuse >> Marchand, BibliotecaGino Bianco

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