Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932

Morte di itn gatto 39 costato, con una certa espressione di timoroso stupore, come chi si accorga di una improvvisa, inesplicabile mancanza: poi si volge a guardare noi in faccia. Non si lamenta, ha un viso normale, solo alquanto più pallido, con quella sua barba di stoppia bruciata. Un brav'uomo un po' balbuziente, un po' semplice, che gli altri, specie i più giovani, pigliavano bonariamente in giro. Ora, per la prima volta, egli se li vede attorno, non più scherzosi, non più a punzec– chiarlo, ma con certi visi intenti, sibillini. E quasi, forse, prefe– rirebbe che fosse come prima: sin che uno scapestrataccio, quasi indovinando il suo disagio, non gli lanci una frase oltraggiosa : - Ohé, barba, che hai fatto : oggi sei stato ancor più fesso del so– lito, no ? - e lui lo ringrazia,, con quei suoi occhi lamentosi. Dalla ferita non esce sangue : un foro quadrato, nero, nella bian– chezza della pelle. Ora i portaferiti lo porteranno giù, certamente in poco tempo se la caverà. Tutto, intorno, in quella tiepida gior– nata, sembra annuire, tranquilla;:çe. Giunge il sottotenente medico, venuto su per caso_dal posto di medicazione: guarda il ferito, g-li tasta il polso. Con un piegar degli occhi, mi segnala: niente da fare. Poi mi spiega. Il fegato scoppiato,· ne 'avrà per qualche ora, inutile portarlo all'ospedale. Con qualche parola di conforto, stringo la mano alFuomo, ch'è ora steso.sotto una coperta bruna, sulla ba– rella, e con occhi lagrimosi ni.i guarda. Già la faccia gli si è rapi– damente incavata nelle guance, tirata, come per una malattia di mesi. In quel luogo dove tanti, innumerevoli erano i morti, dove morti, morti n_ostri eran lì fuori a pochi metri, ormai fagotti di cenci e ossa, insepolti, sparsi in linea d'assalto : dove morti s'incontra– vano da ogni parte, dove s'incespicava nei morti tra l'erba, a muover passi : dove morti eran sopra e sotto a noi, misti al terreno, ai sac~ -chetti a terra della trincea: quella morte, in quel giorno, sotto quel sole, prendeva un che di angosciante, di innaturale. - E poi l'anno dopo, quell'aspirante da pochi giorni giunto in -compagnia, - nipote del comandante di brigata, non ventenne anc6ra, caduto nelle esercitazioni, a Recoaro. Era novembre, un giorno brumoso e nero quanto può essere un giorno d'autunno tra i monti: s'era avuto l'ordine di andare a far scoppiare le bombe rimaste inesplose; sul poligono di tiro. Su nella valle, in mezzo al greto del torrente, tra pareti nere di pini. Sotto un cielo incom– bente pioggia, dai nuvoloni che gonfiavano giù dai monti, si piglia– vano a fucilate le bombe rimaste inesplose, da dietro il riparo della trincea di lancio. Già era piovuto molto in quei giorni, le bombe eran macere di pioggia, ai colpi di fucile non scoppiavano, vola– vano all'aria in pezzi come le pipe di coccio dei tiri a segno. Non -cessavo tuttavia dall'esigere la massima prudenza. Io e un caporal maggiore si tirava, dalle feritoie. Tutti gli altri dovevano stare acquattati, a terra. Il gioco seguitò : le bombe fracide seguitavano BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy