Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932

38 A. Rossi ienzio. Giunta lì sullo spiazzo sotto il porticato, buttò la bestia in terra, tra la polvere. Respirava anc6ra, il muso imb~attat~ di san: gue e di terriccio. I bimbi si fecero intorno a semicerchio, curvi sullo spettacolo, gli occhi avidi, intenti, con ~iccole risa. ! :fianchi della bestiola si alzavano penosamente, un piccolo filo di sangue colava dal muso nella polvere, la totale inerzia e·:fissità dello sguardo pareva ormai escludere tutti quanti erano intorno dalla sua preoc– cupazione. Io mi sentivo nascere giù nel cavo dello stomaco uno spiacevole turbamento, come un principio di nausea. In mezzo a tutta quella natura sana e ridente, a quell'irrompere di sole, a quei visi freschi, quell'agonia aveva un che di immotivato e di perverso. Senso di rivolta intimo, a veder sciupate, crudelmente spezz·ate e calpestate le forze intatte di natura, gli armoniosi centri della vita. Quella frase di Leopardi sulla morte dei giovani, simile, dice, a veder bat– tere giù da .una pianta i pomi bianchi bianchi e acerbi. « Suvvia, pens_ai, con tutti \ morti che hai visti in guerra .... )). E allora d'im– provviso, mi venne agli occhi un'altra scena d'agonia. S'era sul Carso, sulla costa di Monte Sei Busi, in una giornata tranquillis– sima, uno di quei pomeriggi di febbraio in cui un sole già tepido scioglie i rigori e gli indurimenti della terra e degli animi, e la vita spontaneamente accenna per ogni dove a riprendere. Noi si stava lì pacificamente, nella nostra trincea di prima linea, a pochi metri dalla linea avanzata delle vedette, accinti a mille piccole occu– pazioni : chi lavorava a migliorare i ricoveri, chi faceva pulizia, chi si spid'occhiava, chi scriveva a casa. Si sentivano nell'aria limpida i colpi di piccone e di badile degli austriaci, che anche loro s'ag– giustavano meglio in trincea. Poi ecco d'improvviso, laggiù a qual– che centinaio di metri, un :fischio e uno scoppio : una di quelle gra– nate che si tiravano di quando in quando, tanto per far sentire che s'era sempre in guerra. Poi, dopo alcuni istanti, qualche frullo, nell'aria, di schegge che ricadevano dall'alto, con quei loro ca– ratteristici fruscii, sorti così fuori dal nulla. E tutto pareva finito. Ma ecco, là a una svolta della trincea, a qualche diecina di metri da me, un affaccendarsi insolito. Mi sto chiedendo che voglia dire, quando già mi vengono a chiamare. C'è un uomo colpito, uno dei vecchi, che d'omanda di vedermi. E lì adagiato su un paio di cappotti giallo-senapa stesi a terra, nel piccolo spiazzo che v'è all'incrociò tra camminamento e trincea : gli hanno già tolto la giubba, la ca– micia, è a torso nudo. Una scheggia di spring-gre1'1-ade, uno di quei proietti a segmenti che si spaccavano in tanti quadratini grossi un po' più che zolle dii zucchero, gli è scesa di piatto sul fianco, è entrata, ha lasciato nel fianco un buco nero, quadrato, su quella pelle bianca e liscia. L'uomo cerca di alzare il capo a guardarsi quel buco nero, nel Biblioteca Gino Bianco

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