Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932

122 M. PUCCINI, La prigione con comprension~ vera lo faccia evadere dalla pkcola prigione, lo sproni a diventare un uomo. Non mancano infatti tentativi e scatti generosi; ma quando da ultinio il cerchio delle picoole timidità, si richiude, il lettore ha l'impressione che al posto della simpatia sia subentra,to nel– l'autore stesso di fronte al suo eroe un altro .sentimento: quello del di– stacco, dell'ironia:. E questo stesso passaggio di tono, che poteva, riu– scire artisticamente importante, nel libro invece resta ingiustificato. E qui cade a proposito un'osse,:rvazione sullo stile di Puccini. Nello studio di anime piccole, incerte e dubbiose come quelle di Amelio, una luce che può vincere la noia e il grigiore è l'ironia. •Se ne valse per le sue figure grigie, ad esempio, lo ,Svevo; e così molti analisti stra– nieri. Invece Puccini va avanti imperterrito a descrivere i pensieri, i frantumi dei pensieri, i ritorni le congetture 1e ~fuma.ture di questo suo pallido protagonista, non solo quando la timidità Ùi Amelio ci interessa peirché attraverso di essa si intravede un mondo di pietà e di pena, ma anche quando incertezze e timidità re.stano sole e inutili con se ,stes,se. O' è forse qui un equivoco pregiudizia,le nello .scrit– tore: il desi,derio di dare a tutto, senza scelta, l'evidenza più imme– diata, la più semplice, la più vicina possibile al linguaggio parlato, e l'errore di credere che una tale evidenza opaca e grezza sia tutta l'arte, mentre l'arte ha da essere anche s~lta, brio, luce. E per venire propriamente allo stile: l'uso dei verbi al modo condizionale, frequen– tissimo in questo libro, è inizialmente giusto, in quanto, con un prota– gonista timido come Amelio, si ha a che fare quasi sempre con cose im– maginate e non reali, possibili e non avvenute, con « anticipi>> a vuoto sulla realtà ; eppure ripetendosi troppo questo uso dei « farebbe>> degli « andrebbe>> ecc,., di là da ogni altra intenzione artistica lo stile stinge nel grigio·. Nonostante questi difetti, ci sono nel libro parti così vitali e tanta ,serietà d'impostazione che lo impongono all'attenzione. Non soltanto in– fatti l'atmosfera della cittadina, come ho cercato di far capire, è resa con felice suggestione, e moltissime .figure secondarie (come quella del gobbetto che fa da ruffiano ai .sergenti gratuitamente e per solo gusto di ribellione all'aria, troppo grave della cittadina) sono benissimo riu– scite; ma tutto ciò che nel libro tocca del reclusorio e della vita dei carcerati ha un a,ccento suo, -verissimo e non confondibile. Vivi, per esempio, .s:onotutti i secondini, gli amministratori, e specialmente quel -capoguardia, Antini, feroce e disumano alle carceri, ma che in casa sua si sfogava ad allevare uccellini di nido. con biscotti di pan di ,Spagna imbevuti nel latte, e tutta la sua gioia era, poi dar loro la via, vederli volar liberi pel mondo.... Figure che forse avrebbero guadagnato ad ,essere studiate più da vicino, con un esame più profondo, ma che anche date così, di scorcio, non si dimenticano. E ogni.volta che Puocini parla della tubercolosi che miet«:lvittime « là dentro ll, trova frasi così vere e potenti che non -si sa se gliele abbia suggerite l'agile fantasia o se le ,abbia colte dal vero, tanto sono evidenti: « tutto era inutile, ché una volta avuto il primo s-aluto del male:, quegli uomini si mettevano a cor– rere dietro la malattia (}questa se li siwclvjava come confetti.>>. BONAVENTURA TEJCCHI. BibliotecaGino Bianco

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