Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932

F. SACCHI, La casa in Oceania 113 invece ·Giorgio Breglia, .e cioè que gli che p iù lavorava a compromet– ,terla, trescando con lei: proprio quain.to ci voleva per dar forza ai Ganzi, i quali, inpltrata domanda di divorzio, avrebbero voluto far aggiud1care il piccolo al padre. I lettori in cerca d'una conclusione anche da questa part~, anzi d'una morale alla favola, tengano presente che Giorgio Breglia figura, - all'aprirsi del romanzo, - truffato dai Oanzi; ed ecco ch'egli sposa alla fine l'ex-nuora del voochio Canzi, nelle mani della quale finiscono per giunta, certi danari dal suocero aspettati in eredità per sé. Intervento della Provvidenza? o, almeno, dito del fato ? Bisognerebbe domandarlo all'autore. Ma ,scommetto che egli tentennerebbe il c3;po, illuminandosi negli occhi d'una sua ironi3J. Questa porzione di calotta terrestre, con tutta la vita che vi brulica, riesce a dare davvero l'illusione di governarsi da sé e non al lume di idee generali del -suo autore o in vista · di epimitii che possano ca– varne i lettori. L'altra eroina, Mary Bartlett, la ragazza americana, la figlia del ricco proprietario della fattoria di Taroo, avrebbe fatto egualmente, e più presto, la fortuna ,di Giorgio Breglià, pur che que– sti avesse voluto. Un Sorel o un Bel-Ami si sarebbero buttati ,subito da quella parte, guidati dal calcolo. Giorgio Breglia no : da quella parte lo portava il sentimento, o meglio l'attrazione del sentimento di Mary; e a muovere la sua fi3JCcavolontà, ci voleva altra leva, l'istinto. Arrivava più facilmente a impegnarsi attraverso il pecc/1,to, con Romana, che, at– traverso l'amore, con. Mary, anzi non arrivaiva nemmeno all'amore. Per tal via si giunge anc6ra a una conclusione: se resta vero che i perso– naggi sono nel gioco delle circostanze, è anche vero che essi reagiscono sooondo la propria legge interna. Ed ecco la logica come umana neces– sità, per cui dalle stesse coincidenze fortuite m generano catene conse– quenziali di fatti. Prima di chiamarsi La casa in Oceania, il romanzo avrebbe voluto chiamarsi Cawne verdi. Se l'autore s'è negato questo lusso paesistico nel titolo, è perché anche nel libro di questi lussi non se n'è concessi mai. Eppure è -difficile trovar altro romanzo il quale dia tanto vivo senso dei luoghi. Forse perché le determinazioni in proposito son sobrie, quintessenziali. E poi i luoghi fanno una specie di amalgama con gli uomini e le loro cose,· per cui ti senti formar dentro il volto dell' Au– stralia meglio dinanzi a queste quattro righe che a una pagina d'esclu– sivo paesaggio : « paragonava dentro di sé questo pezzo di giovinotto colore tanè e con la camicia kaki, che reggeva a gran strappi di leve il bestione rugginoso del camion in mezzo ai solchi e alle. buche di quélla straida che pareva una strada della luna». D'altronde, i personaggi son così alieni da invasamenti sentimentali al cospetto d'uno spettacolo naturale! « Eil.'a una bella notte calma, e di plenilunio, e tutto chiaro nella baia, fino allo scintillamento lontano, a .fior d'acqua, dei lumi di Townsville. Delle ragazze e dei giovanotti cantavano a prua ». Siamo sulla via d'un momento paesistico assai simile a uno stato d'animo. Ma, udite come l'autore si fermi a tempo, cioè proceda immediatamente a deludervi sul conto dell'osservatore: « Copley che davanti le bellezze della natura si s:entiva la vena filosofica, domandò a Romana se non credeva che tutti sarebbero stati più felici qualora i rapporti di pa- s. - Plg,uo BibliotecaGino Bianco

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