Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932

112 F. SACCHI, La casa in Oceania zione del suo teorema. Poi leggemmo tutti, di Saochi, le corrispondenze di viaggio al Corriere della sera, alcune delle quali, raccolte in vol?-m_e nel '24 riappariv·ano col titolo Città : e mostravano intelletto raz1oc1- nante 'e fantasia creatrice in una lega, da cui veniva all'a?ito del re– ·porter una personalissima forma dialettica insieme e sub1ta-nea. Nel romanzo di oggi, se con uu occhio si potesse seguirne lo .sviluppo i_ma~i– nativo, e con l'altro i modi della rappresentazione, non sarebbe difficile distinguere, da una parte l'uomo di fantasia tutto basato sul su_o capitale d'impressioni, e daJl'altro lo spirito calcolatore che ammi– nistra questo capitale. Ma il romanziere è giunto felicemente al suo risultato d'artista, appunto perché ha reso impossibile questa specie ,li diplopia. _ La verità è, che leggendo La casa in Oceania non ci si sente tanto in presenza dell'autore quanto in presenza del suo mondo. Il quale è quello dei coloni italiani e inglesi nel Queensland, cui si mescolano in pittoresco disordine australiani cresciuti al soffio della civilità euro– pea o americana, e perfin selvaggi, se non allo stato di natura, almeno a quello degli indigeni già testimoni dei primissimi albori -della coloniz– zazione. Mondo giovane di meno di un ~ecolo, e caratterizzato, piut– tosto che dalla varietà caleidoscopica, da un gioco di azioni e reazioni in seno a una società in via di ricomporre elementi altrove dissociatisi, diversi, disparatissimi, sopra una terra cui si legano a stento per mancanza di tradizione e di storia, e nella quale tuttavia la pianta uomo affonda rapidamente le radici : e la foresta già cresce, sebbene la nuova linfa mal riesca a mutar natura alle specie esotiche, sradicate da altri suoli. Il libro sembra anzi autorizzare questa conclusione: che per quanto es~mPlari di schiatte diver-se si toochino, l'istinto porta a con– nubii i quali ritardano l'imbastardirsi delle ràzze. Giorgio Breglia, l'ita– liano ch'è forse il protagonista, ha il suo idillio con una ragazza ame– ricana, ma sposa una donna immigrata dall'Italia, e fonda così la sua casa in Oceania. ,Se il libro ha un ordito, questo potrebbe essere esposto cosi. Gior– gio Breglia e John Copley, entrambi immigrati nel Queensland, ci vivono al balzello degli eventi, sia che si volgano a un mestiere sia che tentino un a-ffare. Lì per lì, potreste anche credere di trovarvi dinanzi a due esemplari della famiglia dei profittatori volitivi tipo Julien Sorel e Bel-Ami. Invece sono due in dominio delle circostanze. E avviene alla fine che l'italiano ha la sua fortuna malgrado se stesso, e che l'in– glese, con tutte le sue velleità di Cl),lcolatore, non approda a nulla, lasciandosi andare alla deriva, proprio dopo aver dimostrato le migliori capacità di resistenza per volgere a proprio profitto il corso di umane vicende. Delle quali la più appai::iscente è quella di Romana, fuggita di casa col suo piccolo per sottrarsi ai maltrattamenti dei suoceri Canzi, riparata presso un parente coltivatore ,di canne da zucchero a Herbert Downs, e anche là oggetto delle mene della famiglia del marito, per una questione d'intere&se che sarebbe troppo lungo riferire. Chi darà sca~o matto ai Canzi, sarà appunto John Cople_y, trasformatosi, nelle ultime puntate del romanzo, in una specie di detective; ma chi si por– ierà via Romana (per la quale anche Copley aveva un debole) sarà BibliotecaGino Bianco

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