Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932

Lettera ad Alfredo Rocco, sull' intelligmiza italiana fuor d'Italia 101 ligl:lnza d'oggi e vedi quanta .distanza passa tra quello che sono i nostri migliori e quello che, per questi equivoei, sorprese e contraddi– zioni, essi Sl:lmbrano agli occhi degli stranieri; e forse anche tu pensi che dopo dieci anni sia giunta l'ora di disciplinare queste rappresentanze della seienza, della cultura, delle lettere, delle arti !l'Italia fuori d'Ita– lia. Fossimo davvero caduti nelle tenebre, e nella rovina che Ardengo Soffici ,annuncia ogni giorno c:on cupa passione, il meglio sarebbe ta– cere e nascondersi. Ma chi non crede in quésta agonia e morte, spe– cie al confronto di quanto dà la media degli stranieri, stima necessario che anche l'Italia, come oggi si dice, intellettuale ,sia conosciuta quanto è conosciuta l'Italia, politica, per quello che fa e vuole e vale. I primi anzi a stupil'si -del contr31sto sono gli stessi stranieri quando capitano a un convegno internazionale come quello, l'anno passato a Roma, della fisi,ea nucleare o come quello adesso della Biennale d'arte a Vene– zia: scelti convegni, ordinati, ospitali e sopra tutto utili e memorabili; vera « cooperazione intellettuale» in atto. Ne cito due soli, quelli che ho veduti coi miei occhi. La colpa di questa ingiustizia è, punto primo, nostra: ché manchiamo d'un ufficio centrale il quale governi logicamente e inesorabilmente ol– tremonte e oltremare le nostre mostre di scienza o d'arte, le rappresen– tanze nostre a un congresso o a una commemorazione, le missioni nostre di ,studi o di ricerche, e via dicendo; d'un ufficio simile a quelli che hanno Francia, Inghilterra e Germania, e che ;non sono straricchi, ma spendono a ragion veduta soltanto quando e dove è utile spendere, e sanno levarsi dai piedi i cento postulanti, e hanno liste d'uomini esperti e capaci di presentarsi con decoro e. di p~rlare con chiarezza, - di parlare anche nella lingua del paese dove vanno a rappresentare l'Italia. Non dico che di queste mostre, rappresentanze e missioni, noi non se ne sieno fatte o mandate di egregie; e per giudicarle così non mi sono fermato al solito comunicato ufficiale, quando c'è ,stato, o alle quattro letterine am– maestrate dei giornali. Ma per cinque volte, a esser larghi, che ci s'è indovinato, altre cinque su dieci sono stati dolori; e s'hanno da .udire le confidenze -dell'ambasciatore, del ministro, del console nostro sulle tirchierie, le miserie, le beghe, le vanterie, gli spropositi di gesti e di linguaggio di taluni nostri messi, legati e oratori. È che sovente costoro o si prl:lsentano e s'impongono da loro, o ven– gono nomina'ti per amicizia, impazienza o cortesia, o sono scelti da ehi non ha idea del mandato cò.e a quelli affida e del paese dove li manda e degli ostacoli che là si dovranno superare o evitare. Eppure il danno che reca al buon nome nostro uno solo di questi spostati è grave, ché per mesi e anni in quella città, in quell'università, in quella cerchia di scienziàti, di scrittori, d'industriali, d'artisti tutta l'Italia avrà il volto di lui, e non c'è rimedio. Ebbene, v'è un ufficio in Italia-che da più anni dà prova-della sua abilità e della sua conoscenza d'uomini e cose in molti rami dell'intelli– genza e della cultura, ed è l'Ufficio romano per la Cooperazione intellet– tuale tra le nazioni, presieduto da te e assistito da consulenti capaci e stimati. Perché non si attribuisce ad esso, e ad esso ::.olo, questo compito di dirigere l'attività dell'int.l:llligenza italiana fuori d'Italia? Non s'inalberino i concorrenti. Il tuo Ufficio dovrebbe ogni volta, per BibliotecaGino Bianco

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