Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932

96 *** in alto. Dinanzi a loro sono scomparsi i tranvai e le automobili e gli isvoscik. Sembra il corteo funebre d'una città morta. I cavalli si agitano nervosi, non sentono più le redini presi da paura come dinanzi a una carogna. I cosacchi invece sorridono sempre. Contro l'insegna di un ne– gozio Nicola, su un cavallo 'nero un palmo più alto di quelli di truppa, si guarda intorno, richiama rabbiosamente i suoi nomini. È terreo. Mi riconosce e mi grida: - Non c'è più niente da fare. - Dietro le spalle di lui guardo la donna dipinta sull'insegna, che fuma sigarette Bogclanoff. Verso il Gostiny Dvor ci deve essere battaglia. I colpi infitti– scono. La folla s'è fermata come stanca del lungo cammino. Gli ·uomini si tengono sempre per mano come timorosi di smarrirsi. Il silenzio è più vasto e dentro vi passa limpido il sibilar dei proiettili. La folla non riesce a fare un passo. Poi di colpo s'inarca, si lancia. · Un crepitìo vicino di mitragliatrici. Poi vicinissimi altri colpi smorzati come di fucili ad aria compressa. Sparano i cosacchi. Hanno ucciso due agenti di polizia. Riprende il crepitio dinanzi a noi con pause brevi piene d'echi laceranti. La folla tace. Poi si scompone, si allarga, e di nuovo si salda. Ci debbono essere tanti feriti. E improvvisamente la folla comincia a gemere col gemito dei feriti. Per ogni uomo colpito sembra èhe tutti siano colpiti. Si leva uh lamento lungo uguale straziante. Si ripete a intervalli come_un colpo d'ariete. Sembra debba far crollare i palazzi. E sul lamento un grido lungo che chiede pane: Kliep kliep kliep. Le mitragliatrici forano la folla cominciano a far breccia. Si spara anche· dalle finestre d'una casa di fronte. La folla adesso si contorce tutta in un urlo. Nel pomeriggio sembra sia tornata la quiete, non sai perché. Le mitragliatrici tacciono. Seguo qualche gruppetto d[ gente per le strade tortuose della vecchia città. Molti hanno trovato armi : vecchi fucili, baionette rugginose, qualche alabarda. Ma.rciano ~er tre, vecchi e ragazzi, come per gioco. Rivedo viventi, quelle vignette della rivoluzione francese che cercavo da bambino in un vecchio libro di mio padre. Rientro all'Albergo, mi lascio cadere sulla prima seggiola. Cerco di Orsini, di Tebaldi, di Origo. Sono anc6ra fuori. C'è in tutte le sale un mormorio lungo. E passano di bocca in bocca notizie catastrofiche, Due reggimenti sicuri, chiamati per arginare i dimostranti, hanno lasciato cadere i fucili, si sono messi a can– tare. Gli ufficiali sono spariti. Allora Protopopoff ha fatto vestire da ufficiali cento agenti fidati, li ha fatti marciare in testa alle truppe: queste li hanno fulminati alle spalle. L'unica speranza è BibliotecaGino Bianco

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