Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932

78 *** L'isv,oscik deve aver smarrito 1a strad'a. Deréscenko lo apo– strofa r~dendo: - Fila dritto, canaglia,! E poi a destra. Frusta quel mucchio d'ossa! Il cavallo è stanco, la slitta s'incolla sulla neve. . Deréscenko s'alza di scatto diritto enorme urlando. Sguama ' . la sciabola, tira piattonate sulle spalle dell'isvoscik. Il ferro rim- balza, il cavallo riparte al galoppo. Come è calda la sala. Nel luccichio degli argenti rived'o la lama curva balenante. Mi sembra di tornar tanto indietro. Dove ho letto? Deréscenko dopo gli antipasti e la vodka mi dice : - Non cre– dere ai sistemi nuovi. Qui si perde il senso della guerra. Per que– sto torno al fronte. Occhi di donne sorridono a Deréscenko. È bello e maschio con la sua calotta nera. Risponde appena ai saluti, parla della guerra. Mi racconta del suo delirio in un ospedaletto da campo, delle carezze di tr.e infermiere: - 4ccidenti alle donne. Vivo e lavoro in una luce artificiale, rossigna. Il telefono suona, sento una voce affettuosa che chied'e: - Sei tu, Ivàn? - e s'in– terrompe quançlo dico il mio nome. Mi pas~ dinanzi agli occhi Pietrogrado grandiosa e teatrale, con le strade diritte e le piazze rotonde, coi palazzi rossi listati di bianco e i giardini sepolti. Mi piego già alle abitudini altrui. Già saluto qualcuno nella folla dell'Hòtel Astoria. Come gli altri già sopporto rassegnato il freddo perché aspetto la primavera .. Quando giunge qualche notizia grave si parla della gue~ra. Bi– ,SOgnasferrare un attacco concord'e, bisogna che la Romi:,,nia si de– cida. Bh:iogna,che gli alleati si occupino della Russia. Qui mancano le munizioni, i servizi non funzionano, si va alla deriva. Ma l'atten– zione di tutti sembra concentrarsi sulla Smolnova,, la zigana dalla voce d'uomo che ogni sera all'Empire è portata in trionfo. Poi c'è la contessa Kusatoff, grandi occhi e grandi perle, bellezza che non si discute; e il conte Sumarokoff Elston, più bello di Nijinski, che entra al bar sventagliando il suo mantello foderato d'i zibellino, e si ferma estatico a farsi guardare. In Paolo Deréscenko non ritrovavo intero il compagno della scuola di Cavalleria. La voce mi pareva diversa e il riso. Eppure, forse per curiosità, forse perché ero solo e sperduto, mi attaccavo a lui, dividevo le sue orgie e la sua solitudine. Egli non s'inte– ressava di me, parlava soltanto di lui. Voleva gli raccontassi della BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy