Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932
Hotel Astoria 77 L'albergo è sotto il controllo dello Stato Maggiore che distri– buisce i permessi d'alloggio edl ,è amministrato da tre panciuti generali a riposo. È un albergo berlinese portato qui di peso dal– l'Unter den Linden. Nell'atrio, uno scalpiccio come di processione. Nei corridoi, sul tappeto alto tre dita tutti, anche· i vecchi, hanno un paRso felino. M'accorgo all'improvviso che qualcuno m'è alle spalle da una ventata di profumo, da uno scoppio di tosse. Son così diversi coloro che dividono il mio tetto che mi smarrisco a fissarli. Tra il nugolo di ufficiali comincio a distinguere i generali della Di– rezione che si baloccano con grossi registri. Poi mi metto a ésser– vare il gruppo degli stranieri che si ritrovano dopo il lavoro in discussioni rumorose e organizzano pranzi e serate. Si chiedono sempre : - Che facciamo stasera '? Preferisco rimaner solo, per abituarmi senza consigli altrui al buio, al freddo, a questo strano odore di guerra. È necessario, per risparmiare tre rubli, imparare a farsi in camera il tè del mattino e ad ottenere dalla polizia i buoni per acquistare vini e liquori. È necessario imparar subito a distinguere le « gardes à cheval >> dai « chevaliers gardes » e gli ufficiali del Preobragensky e i pochi cosacchi eleganti. Alcuni che hanno sapu0 del mio arrivo sono venuti a salu– tarmi. Mi si stringono intorno, mi chiedono dell'Italia. Due mani mi premono sulle spaHe. Mi volto e mi sento abbrancare, mi sento baciar tre volte sulle guancie. Vedo due occhi lucidi e dolci. Sono quelli di Deréscenko. È alto, robusto, le spalle enormi. È nelle « gardes » : la blusa kaki attillata, i calzoni blu a sbuffi li– stati d'oro. Tre croci di smalto gli tinniscono sul petto. Davvero è difficile prender sul serio le decorazioni straniere. Intorno alla fronte, porta un fazzoletto di Reta nera. Grida in francese : - La testa è rotta, ma il cervello J;'esiste. Ricordi Pinerolo, e Tor di Quinto? Come sta Borsarelli? - Il sorriso gli empie la faccia bruna così magra che se ne vede tutta l'intelaiatura forte. Mi trascina in un salotto, si fa ripetere il mio nome, mi pre– senta a ùue generali, a tre signore, non mi lascia più. - Stasera pranzi con mé, - e mi abbraccia. ,Ma alle nove Deréscenko ha cambiato d'umore. Soffia parole incomprensibili nel bavero della pelliccia. Fuori non c'è il suo « li– cach » col trottatore grigio. I portieri lo cercano, fischiano, preoc– cupati. Egli mi tira dentro la prima -slitta che ci si para dinanzi. Parlo, e non mi risponde. Forse mentre si corre contro l'aria ge– lata, è bene non parlare. Osservo il suo fiato bianco. D'un tratto egli si piega verso di me: - Ho deciso di tornare al fronte. La ferita sarà in ordine tra una settimana-. BibliotecaG 110 Bianco
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