Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932
76 *** Per la partenza l'Ammiragliato. ci aveva dato un preavviso di dodici ore soltanto. In una busta suggellata c'erano l'itinerario e l'ordine d'imbarco. Si corre verso il nord sempre nel buio, in un vagone basso im– pregnato di tabacco, si arriva a Newcastle senza vederla. Il « Ju– piter >> si stacca dalla banchina, diventa una nuvola di fumo nero che si lascia trasportare dal vento. Poi per due giorni il « Jupiter >> saetta, balla, s'impenna per sfuggire all'agguato dei sottomarini. Per due giorni un caccia britannico lo segue, lo stringe in un anello di schiuma, lo sorpassa, lo attende. Siamo in. tre. David Macpherson sembra avvitato alla pol– trona. Qualche volta mentre dosa di Apollinaris il suo whisky parla della Russia e degli affari lasciati a Kieff. Poi assapora lunghi silenzi. Ohi invece non può star fermo è Kurusi. Ha una gran capi– gliatura nera, il naso aquilino, le mani piene di anelli e la cra– vatta di raso. Parla un italiano toscaneggiante e racconta di .San Gemignano. Non ,si parla della guerra. ,Soltanto il capitano quando è di buon umore insulta i sottomarini tedeschi: « bloody swine >>. Per il pranzo, Macpherson si veste sempre di ne;ro, rimane solo nella saletta, in faccia allo specchio, e beve sinchè la testa rossa dell'uomo che gli è di fronte ride rid'e e poi diventa pallida e ciondola sul colletto. · , Nella notte, quando il piroscafo scricchiola sulla fine dell'onda, niente è più sinistro di quella saletta da pranzo illuminata e deserta. Bergen, la Norvegia: un gran bianco, e odore di pescheria. Il treno s'empie di ragazze e di sci. La Svezia cogli abeti scintillanti. Poi, la frontiera russa. Nel trasbordo ad Haparanda le valigie rotolano sulla neve. Le slitte sono querule di campanelli, e le renne soffiano, saltellando bizzarre. Rosso vivo e verde chiaro sul bianco: i colori della pittura russa. A Pietrogrado vorrei comperare un quadro di Maliavine. Queste pellicce italiane portate quassù non servono a nulla. La camera 243. 11 lume velato di rosso stinge sui muri. Lo spengo, la stanza rimane al buio 'e son le tre del pomeriggio. Non saprò acconten– tarmi mai d,'i tre ore di luce, né saprò sopportare .questa grande finestra sbarrata, incollata per mesi. Incornicia una stampa sbia– dita: metà del colonnato di Sant'Isacco, il cavallo rampante di Nicola I, la mole informe dell'Ambasciata tedesca. Non so che vedrei se potessi sporgermi: forse la pensilina dell'albergo e una lunga fila di slitte. BibliotecaGino Bianco
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